La Check-list di valutazione del fornitore

Fin dagli albori dei sistemi qualità ISO 9001 (ma ai tempi era anche ISO 9002) la qualifica del fornitore è stato un elemento particolarmente significativo, da soddisfare anche attraverso la sottomissione ai fornitori di un questionario di (auto)valutazione e qualifica del fornitore che andava a valutare la sua organizzazione, le sue metodologie di assicurazione qualità e l’eventuale situazione rispetto alla certificazione di qualità (ISO 9001/ISO 9002/ISO 9003, certificazioni di prodotto, ecc.). Tali questionari avevano una loro ratio: se ben strutturati consentivano di valutare numerosi aspetti dei processi operativi del fornitore e spesso lo invitavano a migliorare i suoi controlli qualità. Chiaramente una visita in loco poteva sempre permettere al cliente di verificare la veridicità delle risposte fornite.

Nel corso degli anni i metodi di valutazione dei fornitori si sono evoluti, ma i questionari sono in parte rimasti, almeno per i fornitori di prodotti e servizi critici, magari affiancati da visite presso la loro sede o veri e propri audit di 2a parte.

Negli ultimi tempi questa modalità di valutazione è estesa ad altri settori: la privacy, la sicurezza informatica e la Sostenibilità, tipicamente declinata nei suoi elementi costituenti: Ambiente (Environment), Responsabilità Sociale (Social Accountability) e Governance, nota con l’acronimo ESG.

Purtroppo, grandi aziende hanno distribuito a pioggia questi questionari per valutare tutti i loro fornitori, senza distinzione.

Così molte aziende si sono viste recapitare (via e-mail) un questionario al quale devono tassativamente rispondere, ma non sanno come, soprattutto per quanto riguarda alcune domande.

Spesso, poi, le risposte ai questionari vengono valutate con algoritmi matematici, applicando metodi quali-quantitativi. In altre parole, ad ogni domanda bisogna rispondere con un SI o NO oppure con un Conforme/Parzialmente Conforme/Non Conforme, e così via. Ad ogni risposta è poi assegnato un punteggio (ed eventualmente un peso) che contribuisce al calcolo di un punteggio complessivo (spesso tramite una media pesata).

Dunque, troppe risposte negative o parzialmente negative possono portare ad escludere una PMI dall’Albo Fornitori di un cliente importante per aspetti non strettamente legati al prodotto/servizio fornito.

Ma andiamo ad esaminare le due principali tipologie di questionari:

  • quello dedicato alla Sostenibilità (ESG) e
  • quello dedicato alla Privacy (Data Protection secondo il GDPR, Reg UE 2016/679) ed alla Sicurezza Informatica (Cybersecurity).

I questionari sulla Sostenibilità riportano domande anche molto specifiche come, ad esempio, richieste sul calcolo della carbon footprint, delle emissioni di CO2 e/o monitoraggio dei consumi energetici.

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Ovviamente a tali domande molte PMI, soprattutto quelle nel settore dei servizi, non sanno cosa rispondere, né pensano di implementare un sistema di misura e monitoraggio di tali elementi.

In molti contesti il questionario non dovrebbe essere applicabile: se il fornitore ha un basso impatto ambientale, non dovrebbe essere valutato su questi aspetti, in quanto non posso trattare allo stesso modo un fornitore di prodotti derivanti da un processo manifatturiero, un semplice rivenditore di prodotti e un fornitore di servizi di sviluppo software ed assistenza software e sistemistica. Se il fornitore appartiene a queste ultime tipologie, dovrebbe poter rispondere: “Caro cliente, siamo un’azienda di servizi che lavora in uffici neanche tanto vasti, il nostro impatto ambientale è limitato e più che cercare di fare la raccolta differenziata e di limitare i consumi energetici (già ridotti) non possiamo”. Del resto i valori di alcuni parametri sopra menzionati non avrebbero senso e non sarebbero comunque comparabili con aziende industriali.

Sugli aspetti Social dei questionari ESG, non ha molto senso richiedere il possesso di una certificazione nell’ambito della Responsabilità Sociale (SA 8000 o altri; ci sono diversi standard, forse troppi, nessuno standard ISO certificabile), soprattutto quando il fornitore non è a rischio di non rispettare i diritti dei lavoratori, soprattutto riguardo al lavoro forzato o al lavoro minorile.

Questi ultimi aspetti, viceversa, spesso risultano difficilmente applicabili a fornitori che producono in Paesi nei quali la normativa sul lavoro non è severa come nel nostro, anzi, lo sfruttamento dei lavoratori e il disconoscimento dei loro diritti è all’ordine del giorno.

In queste situazioni il tipico caso è quello dell’azienda A (grande azienda, anche multinazionale) vuole imporre criteri rigorosi di responsabilità sociale all’azienda B (il nostro fornitore che è un semplice rivenditore) che acquista i prodotti dall’azienda C, che è una grande azienda che opera in mercati del lavoro poco regolamentati (Asia, Africa…). L’azienda B può essere assolutamente compliance a tutte le norme applicabili in Italia e forse più, ma che controllo può imporre su fornitori di altri Paesi che controllano il mercato globale?

Lato Governance spesso viene richiesta l’attuazione di un Modello Organizzativo 231 (per le aziende italiane) che per certi settori non ha senso poiché la probabilità di incappare in uno dei reati previsti dal D.lgs 231/2001 è quasi inesistente. Idem dicasi per la nuova normativa anticorruzione (ISO 37001).

Al di là del consiglio di rispondere con serietà, competenza e massima trasparenza, sarebbe utile instaurare un canale di comunicazione con il cliente per evitare di essere fortemente penalizzati da un algoritmo di valutazione del questionario che non considera adeguatamente nel calcolo il settore di appartenenza del fornitore.

Passiamo al questionario sulla Privacy e/o sulla Cybersecurity.

Il questionario Privacy viene giustamente adottato per qualificare il responsabile (esterno) del Trattamento di Dati personali ai sensi dell’art. 28 del GDPR, ma non solo. Alcune organizzazioni che hanno molto a cuore la tutela dei dati personali che gestiscono, anche perché molto critici (dati sanitari, dati bancari, ecc.), lo mandano a chiunque ha un appalto di servizi. Starà poi al fornitore spiegare che magari il proprio software in cloud non tratta dati personali di cui il cliente è titolare, a parte i dati delle credenziali di accesso degli utenti e, pertanto, non potrà mai essere investito del titolo di Responsabile del Trattamento.

Se, viceversa, il fornitore tratta dati personali occorre fare attenzione ad alcune domande. Ad esempio, spesso il cliente richiede se il fornitore ha svolto una DPIA (valutazione di impatto sui dati personali), che in realtà è applicabile solo in alcuni casi. Ricordiamo infatti che la DPIA è dovuta, oltre ai casi esplicitamente previsti dal Regolamento UE 679/2016 e dalle indicazioni del nostro Garante Privacy, se un trattamento di dati personali – a seguito della valutazione dei rischi – presenta rischi elevati per i diritti e le libertà degli interessati.

 Anche le domande sul DPO (RPD) dovrebbero prevedere la non applicabilità del requisito per determinati tipi di organizzazione, anche se la nomina di un DPO è comunque un’azione volontaria consigliabile in molte realtà.

Per quanto riguarda la nomina dei responsabili del trattamento (sub-responsabili per il trattamento che un fornitore effettua per un cliente titolare del trattamento) con adeguato accordo contrattuale, essa è un atto doveroso, ma è difficile ribaltare al sub-responsabile i medesimi requisiti contrattuali imposti dal titolare (cliente) al responsabile (fornitore). Immaginiamo ad esempio una società di servizi di elaborazione dati relativi alla gestione del personale che ha numerosi clienti che la hanno nominata responsabile del trattamento, ma che ovviamente utilizza il medesimo programma software per elaborare i dati di tutti i clienti ed ha un contratto con i fornitori del software (tipicamente in Saas, ovvero in cloud) unico con la nomina del fornitore del software  a responsabile del trattamento. In tale situazione è difficile che tutti i requisiti, anche quelli particolari, coincidano con quelli richiesti dal cliente titolare del trattamento.

Poi ci sono le misure di sicurezza.

Spesso le check-list comprendono riferimenti a controlli estratti da linee guida ENISA, ISO 27002 e quant’altro di meglio c’è a disposizione. Peccato che talvolta queste misure di sicurezza non sono correttamente declinate.

Ad esempio, il controllo degli accessi logici e le regole di autenticazione non possono essere imposti tu cur dal cliente al fornitore: alcune regole come il cambio password ogni 3 o 6 mesi non ha senso richiederle come obbligo. Ci sono illustri pareri (NIST in primis) che sono contrari al cambio password frequente, a vantaggio di altre misure di sicurezza alternative (es. MFA con elevata complessità della password).

Dunque, sarebbe più corretto chiedere al fornitore quali policy di controllo degli accessi logici ha implementato e non accontentarsi di risposte del tipo: “per accedere ai sistemi informatici abbiamo imposto una password” … che vuol dir tutto e vuol dir niente.

Poi chiaramente il questionario dovrebbe concentrarsi sulle misure di sicurezza relative al trattamento che il fornitore fa per il cliente. Se il responsabile del trattamento fornisce un software i cloud (SaaS) non ha particolare rilevanza come effettua i backup dei propri dati gestionali internamente, ma è importante capire quali misure di sicurezza ha adottato il datacenter che ospita il servizio.

Stesso discorso vale per backup, anti-malware, firewall ed altre misure di sicurezza che dovrebbero essere commisurate all’attività effettivamente svolta dal fornitore per il cliente. Non basta affermare di disporre di queste misure di sicurezza, bisogna capire come sono applicate. Quando l’accesso del fornitore ai dati del cliente avviene sui database installati presso il cliente normalmente le misure di sicurezza importanti sono quelle implementate dal cliente stesso (regole di autenticazione, VPN per accessi dall’esterno, ecc.). In conclusione, occorre essere preparati per rispondere adeguatamente a queste richieste dei clienti e, se si ritiene di essere adeguatamente strutturati ed organizzati su questi aspetti, è opportuno cercare un dialogo con persone competenti appartenenti all’organizzazione del cliente. Nella

Il costo “vero” del prodotto 2022

Il presente articolo ha lo scopo di riproporre un precedente articolo di questo sito, denominato “il costo vero del prodotto” rivisitato e corretto in ottica presente, con i nuovi fattori destabilizzanti che stanno influenzando i costi della maggior parte dei prodotti realizzati dalle aziende italiane.

Mi riferisco in particolare all’aumento dei prezzi della materia prima ed all’aumento dei costi dell’energia, già rilevati nel post-pandemia (o meglio post “prima ondata”), che ora – a causa della guerra in Ucraina – assumono valori non solo molto più elevati rispetto al passato, ma presentano anche una notevole variabilità nel breve periodo.

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E’ ora di aggiornare la valutazione dei rischi

In un mio precedente articolo L’aggiornamento della valutazione dei rischi dopo la pandemia parlai dell’aggiornamento della valutazione dei rischi post-pandemia.

Ora tutte le aziende certificate ISO 9001 (e non solo) dovrebbero aggiornare la loro valutazione dei rischi, come previsto dalla norma, ma anche da buone prassi aziendali, per affrontare il futuro con consapevolezza.

Ad inizio 2022 il risk assessment non può prevedere solo aggiornamenti legati all’evoluzione della pandemia Covid-19, ma anche ad altri fattori che incidono profondamente sul contesto esterno delle nostre imprese: aumento dei costi dell’energia, aumento dei costi delle materie prime e di diversi componenti elettronici, legato strettamente alla carenza delle medesime materie prime e componenti. L’aumento dell’inflazione ed una probabile crisi dei consumi è una logica conseguenza di tutti questi fattori.

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La sostenibilità per le PMI italiane: come applicare i principi dell’UN Global Compact?

Oggi si parla molto di sostenibilità, ad ogni livello, sia a livello governativo sia nelle grandi aziende, soprattutto multinazionali.

Al di là della declinazione del termine “sostenibilità” nelle pratiche di business delle aziende, spesso invocato come uno strumento di pubblicità positiva, è importante conoscere bene quali strumenti fanno di un’azienda, logicamente votata al profitto, un’azienda sostenibile.

Per le grandi aziende è più semplice – a parole – adottare pratiche importanti per promuovere i diritti umani, l’etica del lavoro o la tutela ambientale in tutte le loro attività di business, anche perché possono imporre certi standard a tutta la catena di fornitura.

Ma una PMI di medio piccole dimensioni, che opera nel settore manifatturiero o piuttosto nei servizi, come può adottare buone prassi di sostenibilità con mezzi limitati e poteri altrettanto vincolati dalla cosiddetta “legge del più forte”, sia esso un cliente o un fornitore importante?

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TISAX: la sicurezza delle informazioni nell’automotive

La normativa IATF 16949 prevede alcuni requisiti che riguardano la sicurezza delle informazioni dell’organizzazione automotive ed infatti le Sanctioned Interpretation riguardano anche la sicurezza delle informazioni gestite. Ricordiamo che una Sanctioned Interpretation modifica l’interpretazione di una regola o di un requisito della IATF 16949 e diventa essa stessa la base di una non conformità.

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Esiste l’informativa privacy perfetta?

Uno degli aspetti fondamentali del Regolamento Europeo per la Protezione dei Dati (Reg. UE 679/2016, noto anche come GDPR) è costituito da Diritti dell’interessato, i cui requisiti sono descritti al Capo III del Regolamento stesso. Ed uno dei principali documenti (forse il principale) che ogni organizzazione ha predisposto per dimostrare il corretto adempimento a questo elemento è costituito dall’Informativa.

In realtà il Regolamento, agli articoli 12, 13 e 14 non cita il termine “Informativa”, ma “informazioni da fornire all’interessato”, ma ciò non cambia la sostanza, per cui quasi tutte le organizzazioni del nostro Paese, forse anche per continuità con la normativa precedente (D. Lgs 196/2003), hanno predisposto una o più informative per il trattamento di dati personali.

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Cosa sono gli adeguati assetti organizzativi?

Il nuovo art. 2086 del Codice Civile riporta quanto segue:

“Gestione dell’impresa

1. L’imprenditore è il capo dell’impresa e da lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori.

2. L’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale.”

Le PMI si stanno adeguando?

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Le nuove Linee Guida del GPDP sui cookie

Il Garante per la Protezione ei Dati Personali (GPDP) ha recentemente emanato un provvedimento (pubblicato in G.U. lo scorso 09/07) denominato “Linee guida cookie e altri strumenti di tracciamento”, facendo seguito alla consultazione pubblica iniziata lo scorso dicembre.

Il presente articolo segue analogo articolo che commentava la versione posta in consultazione delle medesime Linee Guida e che ora sono state ufficialmente approvate, seppur con qualche modifica.

 Tali Linee Guida di fatto aggiornano un provvedimento analogo (n. 229, dell’8 maggio 2014) adottato prima dell’entrata in vigore del Regolamento UE 679/2016.

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La valutazione del rischio Privacy

Perché valutare il rischio per la protezione dati

Sebbene il Regolamento UE 679/2016 (ormai più noto con l’acronimo inglese, GDPR) indichi diverse volte la necessità di effettuare una valutazione dei rischi che incombono sui dati personali, in molte organizzazioni non c’è una chiara evidenza di un processo documentato di valutazione dei rischi che abbia portato ad intraprendere determinate azioni e misure di sicurezza.

Già all’art. 25 (Privacy-by-design & privacy-by-default), comma 1, il GDPR ci indica la necessità di effettuare una valutazione dei rischi:

Tenendo conto dello stato dell’arte e dei costi di attuazione, nonché della natura, dell’ambito di applicazione, del contesto e delle finalità del trattamento, come anche dei rischi aventi probabilità e gravità diverse per i diritti e le libertà delle persone fisiche costituiti dal trattamento, sia al momento di determinare i mezzi del trattamento sia all’atto del trattamento stesso il titolare del trattamento mette in atto misure tecniche e organizzative adeguate, quali la pseudonimizzazione, volte ad attuare in modo efficace i principi di protezione dei dati, quali la minimizzazione, e a integrare nel trattamento le necessarie garanzie al fine di soddisfare i requisiti del presente regolamento e tutelare i diritti degli interessati.

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Quale controllo di gestione ci attende nel 2021

Il 2020 ci ha portato la pandemia di Coronavirus, che può essere classificato come uno degli eventi più destabilizzanti dell’economia mondiale negli ultimi 10 anni, paragonabile solo alle grandi guerre a livello mondiale. Secondo la teoria della Business Continuity si tratta di una “disruption” (tradotto come “interruzione”, “disturbo” o “dissesto”) che, secondo la norma UNI EN ISO 22301 (Sistemi di gestione della continuità operativa) viene inteso come un incidente o evento (positivo o negativo) che provoca una interruzione nell’erogazione di prodotti e/o servizi.

Ma in quest’articolo non vorrei parlare di questa tematica e della resilienza necessaria alle imprese per riprendere le attività produttive o di erogazione di servizi in modo sufficientemente accettabile per tutte le parti interessate, bensì di come le imprese – soprattutto quelle medio piccole – dovrebbero modificare il loro approccio al controllo della gestione aziendale.

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