Come noto il Regolamento UE 679/2016 (GDPR) non prevede più – a differenza del previgente D.Lgs 196/2003 – di attuare delle misure “minime” di sicurezza” a protezione dei dati personali trattati da un’organizzazione (titolare o responsabile del trattamento), bensì misure di sicurezza adeguate, stabilite a fronte di una valutazione dei rischi sui trattamenti.
In particolare, all’Articolo 32 del GDPR: Sicurezza del trattamento (Considerando 83), si riporta quanto segue:
1. Tenendo conto dello stato dell’arte e dei costi di attuazione, nonché della natura, dell’oggetto, del contesto e delle finalità del trattamento, come anche del rischio di varia probabilità e gravità per i diritti e le libertà delle persone fisiche, il titolare del trattamento e il responsabile del trattamento mettono in atto misure tecniche e organizzative adeguate per garantire un livello di sicurezza adeguato al rischio, che comprendono, tra le altre, se del caso:
a) la pseudonimizzazione e la cifratura dei dati personali;
b) la capacità di assicurare su base permanente la riservatezza, l’integrità, la disponibilità e la resilienza dei sistemi e dei servizi di trattamento;
c) la capacità di ripristinare tempestivamente la disponibilità e l’accesso dei dati personali in caso di incidente fisico o tecnico;
d) una procedura per testare, verificare e valutare regolarmente l’efficacia delle misure tecniche e organizzative al fine di garantire la sicurezza del trattamento.
2. Nel valutare l’adeguato livello di sicurezza, si tiene conto in special modo dei rischi presentati dal trattamento che derivano in particolare dalla distruzione, dalla perdita, dalla modifica, dalla divulgazione non autorizzata o dall’accesso, in modo accidentale o illegale, a dati personali trasmessi, conservati o comunque trattati.
Perché la sentenza Schrems II sta avendo un impatto significativo sulla gestione dei dati personali effettuati dalle aziende dell’Unione Europea? Chi si deve preoccupare di questa sentenza? Quali azioni dovranno essere intraprese dalle aziende, soprattutto le piccole e medie, per capire se e come adeguarsi? In questo articolo faremo il punto della situazione dopo circa sei mesi dalla sentenza Schrems II.
Una breve premessa per chi non conoscesse la sentenza Schrems II.
Il Garante per la Protezione dei Dati Personali ha recentemente pubblicato delle “Linee Guida sull’utilizzo dei cookie ed altri strumenti di tracciamento” in consultazione pubblica. Quindi, in base ai commenti ricevuti da diverse fonti, emanerà successivamente le Linee Guida definitive.
In questo articolo, pertanto, fornisco alcune considerazioni personali sulle Linee Guida stesse ed in generale sull’argomento “cookie ad altre tecnologie traccianti”, che normalmente sono presenti sui siti web – ma anche su app per dispositivi portatili -, ad integrazione ed aggiornamento di quanto riportato in un mio precedente articolo. Si consideri anche che, nel frattempo, alcune Autorità di Controllo Europee (ICO, CNIL,…) hanno pubblicato proprie linee guida e l’EDPB ha più recentemente pubblicato le Linee Guida sul Consenso, che riportano anche alcuni esempi sulla gestione dei cookie.
Nella gestione della privacy di un’organizzazione talvolta ci si trova a valutare la conformità al GDPR (Regolamento UE 2016/679) di una applicazione web o web application fornita, spesso con modalità SaaS (Software As A Service) da un fornitore esterno.
Da un lato l’art. 28 del GDPR ci chiede di affidarci solo a responsabili del trattamento che garantiscano adeguate misure di sicurezza e la conformità al GDPR stesso, dall’altro l’art. 25 ci chiede che gli applicativi software che trattano dati personali siano “privacy by design” e “privacy by default”, ma cosa significa tutto ciò? Cosa dobbiamo realmente chiedere al fornitore di una web application? Anzi cosa dobbiamo pretendere per garantirci la conformità al GDPR?
Al di là degli obblighi del GDPR, molti imprenditori si pongono queste domande:
Il Responsabile del trattamento, ai sensi dell’art. 28 del Regolamento UE 679/2016 (GDPR), è una figura molto ostica da gestire nell’ambito di un adeguamento della gestione della privacy di un’organizzazione italiana.
Moltissimi punti del GDPR definiscono prescrizioni applicabili ai titolari e/o ai responsabili del trattamento, ovvero alle figure che hanno determinate responsabilità nel trattare dati personali. Altri soggetti identificati dal GDPR (contitolari, “titolari autonomi” e soggetti autorizzati al trattamento) o sono riconducibili ad essi oppure hanno responsabilità di gran lunga inferiori.
Dopo l’introduzione – da parte di ACCREDIA su indicazioni IAF (si veda il documento IAF ID03 “Management of Extraordinary Events or Circumstances Affecting ABs”, CABs and Certified Organization e la circolare ACCREDIA DC 02/2020) – della modalità di effettuazione degli audit a distanza legati alla certificazione dei sistemi di gestione, il recente articolo L’AUDIT A DISTANZA. CONSIDERAZIONI GENERALI, MODALITÀ DI GESTIONE E SPUNTI OPERATIVI pubblicato sul sito ACCREDIA, fornisce alcuni spunti di riflessione sulle modalità operative di gestione degli audit da remoto che gli Organismi di Certificazione (OdC) hanno iniziato a svolgere per mantenere il ritmo delle attività di sorveglianza e rinnovo delle certificazioni dei sistemi di gestione.
L’attività di auditing ha evidentemente un discreto impatto sui contatti interpersonali: interviste a varie persone, consultazione di documenti cartacei, visualizzazione di documenti digitali e siti internet, visione di reparti produttivi, ecc..
Per non bloccare per molto tempo queste attività, soprattutto in questa Fase 2 dell’emergenza Coronavirus nella quale quasi tutte le attività produttive sono riprese, anche se molte persone continuano giustamente a lavorare in smartworking, gli audit in campo sarebbero comunque difficili da condurre nel rispetto dei vari protocolli aziendali che prevedono misure molto rigide nei confronti dei fornitori che potrebbero avere accesso all’azienda, compresi i consulenti e gli auditor degli OdC. Sebbene le regole applicate siano molto disomogenee e i protocolli approvati dal Governo siano oggi esagerati se applicati a singole persone che accedono ai locali aziendali, quali auditor e consulenti, l’approccio degli OdC sembra sia fortemente orientato a svolgere comunque gli audit pianificati con le modalità “a distanza”, come previsto da ACCREDIA.
L’articolo sopra menzionato – sebbene non costituisca una regola da seguire da parte degli OdC – fornisce molti interessanti spunti di riflessione per comprendere se svolgere gli audit a distanza, quando svolgerli e come svolgerli.
Questa opportunità, commercialmente molto favorevole per gli OdC che altrimenti si vedrebbero bloccate le attività ed i conseguenti ricavi per diverso tempo, dovrebbe essere sfruttata cum grano salis, effettuando preliminarmente una valutazione dei rischi basata su diversi elementi, che comprendono la tipologia dell’organizzazione auditata, il tipo di verifica, la norma di riferimento, la complessità dell’organizzazione e del suo sistema di gestione, ecc.
Il rischio che si corre nell’attuare questa nuova modalità è quello di non svolgere un audit efficace, ovvero di effettuare delle valutazioni non sufficientemente esaustive e corrette, ovviamente a tutto “vantaggio” dell’organizzazione auditata che si vedrebbe così ad essere certificata, ovvero a continuare ad esserlo, con una certa facilità.
L’analogia con la Didattica a Distanza (DAD) è pienamente calzante: come la verifica delle competenze degli alunni deve cambiare modalità per garantire un giusto livello di severità della scuola, così devono cambiare le modalità di raccolta e valutazione delle evidenze dell’audit.
Il rischio vero, però, è quello di sminuire ulteriormente un settore (quello delle certificazioni del sistema di gestione) che già ha perso molta credibilità a causa di audit troppo soft.
Certe tecniche estremamente efficaci utilizzate negli audit degli anni novanta, e non sempre riprese nel corso degli anni 2000, potrebbero non essere applicabili negli audit a distanza. Ad esempio prendere un DDT a caso di un prodotto in fase di spedizione e ripercorrere tutta la vita del prodotto “all’indietro”, ovvero richiedere evidenza dei controlli di produzione, dei controlli sulla materia prima, dei controlli sulle lavorazioni esterne, della qualifica dei relativi fornitori, degli ordini/contratti con i fornitori, della gestione dell’ordine del cliente (e relativi termini di consegna), dell’offerta e magari anche della progettazione del prodotto, se applicabile. Oppure scegliere a caso una commessa, un ordine o un prodotto e poi verificare tutti gli annessi e connessi.
Anzitutto bisognerebbe stabilire con precisione modalità e mezzi di conduzione di un audit a distanza. Ad esempio, quale piattaforma collaborativa utilizzare: quella stabilita dall’OdC o quella utilizzata dal cliente/organizzazione. La scelta non può essere dettata dal caso o dall’auditor di turno, spesso un consulente esterno, che magari sceglie a sua discrezione una piattaforma che conosce meglio. Infatti, nel corso dell’audit possono transitare anche informazioni di una certa riservatezza e l’impiego di una piattaforma che garantisca adeguate misure di sicurezza e rispetto per la privacy dei dati personali usata in modo corretto è sicuramente un requisito necessario. Recentemente si sono verificate violazioni di dati su piattaforme molto diffuse e, inoltre, la conservazione dei dati in cloud ubicati fuori UE non garantisce sempre il rispetto del Regolamento UE 679/2016 (GDPR).
Dato che l’audit è svolto sotto la responsabilità dell’OdC è il medesimo a dover assicurare la sicurezza dei dati che vengono trasmessi dall’organizzazione, la quale potrebbe avere qualcosa da obiettare nel fornire direttamente su file alcune informazioni riservate: un conto è far visionare un’offerta commerciale ad un auditor che viene presso la mia sede e che neanche volendo riuscirebbe a ricordarsi i dettagli una volta uscito dall’azienda, un conto è fornire direttamente all’auditor il file completo dell’offerta con prezzi, codici di articoli, modalità di fornitura, ecc. Se anche solo per superficialità o per inadeguatezza delle misure di sicurezza del notebook dell’auditor la stessa offerta finisse nelle mani di un concorrente quali sarebbero le conseguenze? Normalmente gli auditor esterni all’Ente di Certificazione utilizzano propri notebook, non controllati dall’OdC stesso, che vengono portati in viaggio e possono essere smarriti o rubati…. dovrebbero avere tutti gli hard disk cifrati.
Probabilmente sarebbe opportuno che certi documenti contenenti informazioni più riservate (o comunque classificati) non siano trasmessi dall’organizzazione auditata all’auditor via e-mail o condivisi attraverso la piattaforma di comunicazione, ma semplicemente visualizzati condividendo uno schermo, come tutti i software di videoconferenza consentono, da Microsoft Teams a Google Meet, da Skyoe a GoToMeeting, a Webex, ecc.
Alcune informazioni raccolte dall’auditor sono contenute in documenti digitali (es. verbali di riesame della direzione, rapporti di audit interni, procedure, ecc.) altri sono invece reperibili da un sistema informatico, dunque si può tranquillamente prevedere la condivisione dello schermo da parte di un responsabile dell’organizzazione che apre un sistema gestionale e mostra – esattamente come farebbe durante un audit in presenza – gli ordini del cliente, gli ordini di produzione, la pianificazione della produzione, i controlli eseguiti, ecc.. In questo modo l’auditor può mantenere il controllo dell’audit e farsi mostrare l’elenco di tutti gli ordini o commesse e scegliere autonomamente quella/a da visionare. In molte realtà aziendali il sistema gestionale produce offerte, conferme d’ordine del cliente, ordini di acquisto, ordini di produzione ed altro già in formato pdf pronto da essere stampato per i reparti interni o per essere trasmesso via e-mail al cliente o al fornitore, dunque trasmettere o semplicemente visualizzare nella video-riunione (per i motivi di riservatezza di cui sopra) questi documenti all’auditor dovrebbe essere molto semplice.
Le classiche riunioni di apertura e chiusura e le interviste a responsabili normalmente svolte negli uffici possono essere tranquillamente condotte in conference call con il supporto della condivisione dello schermo per visionare documenti in formato digitale oppure documenti cartacei opportunamente scansionati al momento, ma come svolgere le verifiche nei reparti produttivi?
La valenza di un audit in un’azienda manifatturiera è fortemente in dubbio: l’audit della produzione è praticamente obbligatorio in tutte le aziende produttive e potrebbe essere condotto efficacemente solo in certe realtà, connettendosi a terminali dell’ufficio produzione e controllo qualità, ma anche attraverso smartphone connessi con la videocamera accesa per poter visionare i reparti produttivi, intervistare operatori in produzione, raccogliere evidenze di strumenti utilizzati, macchine di produzione, materiale immagazzinato e così via. È evidente che l’azienda potrebbe “guidare” l’audit un po’ più del solito rispetto all’audit in presenza.
Uno degli elementi che ACCREDIA invita a considerare nella valutazione del rischio sulla conduzione dell’audit è costituito dalla conoscenza dell’organizzazione da parte dell’auditor: naturalmente un auditor che ha visitato già l’azienda due o tre volte è in grado di valutare anche da remoto cosa è opportuno visionare e cosa no. Nelle indicazioni di ACCREDIA si invita gli OdC a visionare anche i layout/planimetrie degli stabilimenti dell’organizzazione per decidere quali reparti sarebbe opportuno visionare, se sono stati visionati in passato e così via.
Il documento IAF MD4:2018 (IAF MANDATORY DOCUMENT FOR THE USE OF INFORMATION AND COMMUNICATION TECHNOLOGY FOR AUDITING/ASSESSMENT PURPOSES) costituisce la guida per gli OdC per la conduzione degli audit da remoto, così come la circolare ACCREDIA e il documento IAF ID03, ma poiché permangono molti dubbi sull’applicabilità di questa modalità in diversi contesti sono state pubblicate anche delle FAQ sul sito IAF (https://iaffaq.com/).
Certamente permangono alcune perplessità sull’applicazione degli audit a distanza nella verifica di sistemi di gestione ISO 14001, ISO 27001 e altri, piuttosto che di sistemi ISO 9001. Oltre che all’applicabilità ad aziende di produzione, imprese di costruzione, installatori e manutentori di impianti, società di ingegneria con direzioni lavori.
Infine, resta da valutare la competenza dell’auditor nel gestire le tecnologie utilizzate per la conduzione dell’audit a distanza ed eventualmente a colmarle.
Sicuramente l’audit a distanza o da remoto è una grossa opportunità per mantenere la continuità operativa degli Organismi di Certificazione e di tutto il mondo delle certificazioni e dell’accreditamento (anche ACCREDIA ha attuato gli audit da remoto), contenendo anche i costi di spostamento degli auditor, ma è importante mantenere alta l’attenzione affinché questa metodologia non riduca l’audit di certificazione ad una mera formalità, minacciando l’attendibilità di tutto il sistema delle certificazioni.
Tutti i moderni sistemi di gestione ci hanno insegnato che è necessario effettuare una valutazione dei rischi, con il focus su aspetti specifici del sistema di gestione di riferimento, in base al contesto interno ed esterno dell’organizzazione. E che tale valutazione va riesaminata o aggiornata con periodicità predefinita (ad es. annualmente in occasione del riesame di direzione) o allorquando mutano significativamente gli elementi che hanno contribuito alla valutazione stessa (fattori critici di successo, contesto interno ed esterno).
Ora tutte queste valutazioni vanno modificate, non perché ce lo dice la norma di riferimento (ISO 9001, ISO 27001, IATF 16949, ecc.), ma perché ce lo dice la coscienza del buon imprenditore, direttore generale, amministratore delegato, ecc.
Soprattutto in questo periodo è estremamente attuale essere
in grado di pianificare la continuità operativa delle imprese, almeno per
quanto possibile.
Anche le aziende più preparate a gestire la business
continuity, forse, non hanno previsto una pandemia come quella del Covid-19,
o forse si erano prefigurati scenari diversi, nei quali le persone non sono in
grado di andare al lavoro a causa di epidemie di influenza o altre cause. In
questa fase che stiamo attraversando l’assenza di personale non è dovuta –
nella maggior parte dei casi – allo stato di malattia delle persone, ma alla
necessità di “isolamento sociale” delle risorse umane di un’intera azienda. Per
certi aspetti, dunque, il panorama è meno catastrofico, in quanto le persone
sono quasi tutte operative ed in grado di lavorare, ma non possono accedere
ai locali aziendali per un periodo di tempo che potrebbe essere considerevole.
Come potrebbe (o poteva) l’azienda lungimirante e preparata,
affrontare situazioni di emergenza come questa che stiamo attraversando? O
meglio, come potrà pensare di affrontarle in futuro se si verificheranno?
In questo periodo molte organizzazioni, sia pubbliche che private, hanno scoperto – per necessità – il lavoro a distanza, formalmente definito “lavoro flessibile”, telelavoro o smartworking.
Fermo restando che il vero smartworking non consiste
nel farsi mandare un documento a casa via e-mail da un collega (o da sé stesso),
lavorarci su fra le mura domestiche e poi rimandarselo in ufficio, cerchiamo di
capire quali sono le modalità efficaci, efficienti e “sicure” per lavorare con
continuità da casa o comunque da un sito che non è l’ufficio o la sede
aziendale in genere.
Con l’avvento del GDPR si è complicata la gestione della privacy dei destinatari delle azioni di web marketing, attraverso strumenti quali mail-marketing, newsletter, social network, cookie, pixel, beacon, ecc.. Con l’evoluzione della tecnologia legata ai cookie ed altre tecnologie similari anche una semplice navigazione di un sito internet a scopo puramente informativo sta diventando sempre più complicata, sia per il gestore del sito, sia per i “naviganti” che si trovano a dover accettare cookie policy, informative privacy e trattamenti consentiti che se si leggesse tutto si impiegherebbe più tempo rispetto a quello dedicato alla lettura dei contenuti veri del sito. Leggi tutto