La nuova norma ISO 9001:2015 ripropone al punto 9.2, praticamente senza modifiche significative rispetto alla precedente edizione della norma, il requisito relativo all’Audit interno. La ISO 9001:2015 probabilmente pone maggiore enfasi sulla necessità di intraprendere tempestivamente le azioni finalizzate al trattamento dei rilievi (correzioni, azioni correttive o quant’altro) e certamente recepisce l’approccio basato sui rischi (Risk Based Thinking), per il quale la pianificazione e la conduzione degli audit interni dovrà riflettere la necessità di monitorare più frequentemente e più approfonditamente i processi maggiormente a rischio per il perseguimento degli obiettivi aziendali. Però in questo articolo l’aspetto che vorrei sottolineare è un altro: qual è il valore aggiunto di un “vero” audit interno?
La domanda, forse un po’ provocatoria, vuole evidenziare il fatto che gli audit interni “finti” servono a poco, se non a coprire il punto della norma in occasione degli audit dell’ente di certificazione e nulla più.
Ormai lo hanno capito anche gli auditor degli Organismi di Certificazione: numerose aziende – che vivono male il loro sistema qualità – poco prima della visita di sorveglianza o rinnovo della certificazione si ritrovano ad adempiere a questo requisito di norma e per varie ragioni (risparmiare tempo e costi, incompetenza, indisponibilità del personale da auditare, urgenza di sbrigare la pratica…) preferiscono registrare audit interni fasulli – ovvero non svolti realmente – piuttosto che effettuare una vera verifica sulla corretta attuazione dei processi aziendali.
Tale pratica, molto diffusa anche da parte di consulenti compiacenti, spesso non sfugge ad un attento auditor dell’Organismo di Certificazione, che però non può o non vuole infierire sull’azienda, spesso anche per mancanza di evidenze oggettive che possano comprovare la falsità dei rapporti di audit.
In realtà predisporre un rapporto di audit interno fittizio, magari con tanto di check-list compilate, è tempo perso, anche se molti responsabili qualità credono di aver risparmiato tempo (e rogne) rispetto a condurre un vero audit.
Il vero audit, infatti, permette di capire cosa effettivamente viene svolto secondo le regole (procedure, specifiche del cliente, norme, ecc.) e cosa no, se i processi sono condotti in modo efficace e, soprattutto, efficiente, se il personale opera secondo i compiti assegnati e così via.
Certamente non svolgere gli audit e far risultare che tutto va bene talvolta permette al responsabile qualità o altro auditor incaricato, di evitare conflitti interni con i responsabili dei vari reparti(che così potranno continuare a fare quello che pare a loro) o con soggetti troppo permalosi se qualcuno osa sindacare il loro operato. Ma tutto ciò giova realmente all’azienda?
La Direzione, o meglio l’alta Direzione della norma ISO 9001, preferisce vedere dei rapporti di audit fasulli che sono dei “percorsi netti” pur di liberarsi di torno questo adempimento oppure preferisce sapere quali sono i reali problemi dell’azienda?
Un audit ben fatto, condotto da personale competente e imparziale (ovvero non solo indipendente dai responsabili dei processi verificati, ma anche in grado di giudicare in modo imparziale quello che rileva, senza farsi condizionare da chi ha di fronte) porta del grande valore aggiunto all’azienda, perché permette di capire quali sono i problemi attuali dell’organizzazione e quali potrebbero essere quelli futuri; ad esempio rilevare, durante un audit, che non viene controllato il prodotto acquistato, non registrandone nemmeno le informazioni che ne garantiscono la rintracciabilità, potrebbe portare guai all’azienda in caso di richiesta di risarcimento danni da parte del cliente per prodotto difettoso provocato dal prodotto/servizio acquistato presso il fornitore, impedendo anche di potersi rivalere sul fornitore che ha causato la non conformità. Il vero audit, dunque, tutela l’azienda e permette di fronteggiare possibili rischi di vario genere e natura.
Un audit reale può fornire anche molti spunti di miglioramento, se non altro per il fatto di esaminare i processi insieme al personale operativo che avrebbe l’opportunità di evidenziare possibili migliorie.
Un vero audit permette di rilevare delle anomalie, dei problemi, che poi dovranno essere risolti, affrontandoli in tempi ragionevoli. L’audit finto non rileva i problemi, ma questo non vuol dire che non ci sono!
Un vero audit ha bisogno di molto più tempo da parte dell’auditor e del personale intervistato, ma fornisce valore aggiunto, il finto audit non serve all’azienda, ma solo ad evitare rilievi in fase di verifica di certificazione/sorveglianza o rinnovo.
Spesso il finto audit è figlio di procedure finte: che cosa faccio a fare gli audit se dovrei verificare la conformità a procedure che non segue nessuno perché non rappresentano la realtà aziendale? A volte questo è un altro problema: il sistema di gestione per la qualità non è aderente alla realtà aziendale, dunque così com’è non serve a nulla.
Il vero audit va anche ad investigare sull’efficienza dei processi e sui relativi indicatori. Questi ultimi spesso sono deficitari (carenti o addirittura fasulli) per monitorare i processi e dovrebbero essere messi in discussione dal bravo auditor. Ma anche quello degli indicatori poco pertinenti, imprecisi e non sistematicamente misurati è un altro problema di molti sistemi qualità.
Tutto questo, però, deve essere capito dalla Direzione, da chi governa l’azienda, dalla proprietà e forse alcuni non lo capiranno mai, ma se tutti coloro che lavorano in questo ambito operassero con l’obiettivo di far risaltare i vantaggi di possedere un vero sistema qualità, forse alcune aziende si farebbero un esame di coscienza e ripenserebbero al loro sistema qualità sotto un’ottica differente. Anche questo sarebbe un valore aggiunto di un vero audit interno.