La nuova edizione della norma ISO 22301:2019 per la certificazione della business continuity

Soprattutto in questo periodo è estremamente attuale essere
in grado di pianificare la continuità operativa delle imprese, almeno per
quanto possibile.

Anche le aziende più preparate a gestire la business
continuity
, forse, non hanno previsto una pandemia come quella del Covid-19,
o forse si erano prefigurati scenari diversi, nei quali le persone non sono in
grado di andare al lavoro a causa di epidemie di influenza o altre cause. In
questa fase che stiamo attraversando l’assenza di personale non è dovuta –
nella maggior parte dei casi – allo stato di malattia delle persone, ma alla
necessità di “isolamento sociale” delle risorse umane di un’intera azienda. Per
certi aspetti, dunque, il panorama è meno catastrofico, in quanto le persone
sono quasi tutte operative ed in grado di lavorare
, ma non possono accedere
ai locali aziendali per un periodo di tempo che potrebbe essere considerevole.

Come potrebbe (o poteva) l’azienda lungimirante e preparata,
affrontare situazioni di emergenza come questa che stiamo attraversando? O
meglio, come potrà pensare di affrontarle in futuro se si verificheranno?



Ci viene in soccorso lo standard UNI EN ISO 22301 (Sicurezza e resilienza – Sistemi di gestione
per la continuità operativa – Requisiti
titolo originale “Security
and resilience – Business continuity management systems – Requirements”
),
recentemente revisionato (edizione 2019) e tradotto in italiano dall’UNI e
pubblicati a febbraio 2020.

Come già visto in un precedente articolo sulla vecchia versione della norma (pubblicata dall’ISO nel 2012) , lo standard specifica i requisiti per progettare, implementare e gestire efficacemente un Sistema di gestione della continuità operativa.

Le modifiche alla norma non hanno aggiunto nuovi
requisiti
, ma solamente chiarito quelli già presenti, allineato la
norma alle altre norme sui sistemi di gestione e riorganizzato il capitolo 8,
vero cuore dello standard.

Il sistema di gestione della continuità operativa (business continuity management system o BCMS)
enfatizza l’importanza di:

  • comprendere le esigenze dell’organizzazione e le necessità per
    stabilire la politica e gli obiettivi per la continuità operativa;
  • gestire e mantenere processi, capacità e
    strutture di risposta per garantire che l’organizzazione sopravviva a
    interruzioni;
  • implementare e rendere operativi controlli e misure per gestire la
    capacità di un’intera organizzazione nella gestione delle interruzioni (discontinuità)
    dell’operatività dovute a cause accidentali;
  • monitorare e riesaminare le
    prestazioni e l’efficacia del sistema di gestione della continuità
    operativa;
  • migliorare in modo continuo
    il BCMS basato su metriche qualitative e quantitative (obiettivi misurabili).

Si ricorda che anche la norma ISO/IEC 27031 “Information technology — Security techniques
— Guidelines for information and communication technology readiness for
business continuity
” tratta la business continuity, ma nel contesto dell’ICT
e delle tecniche di sicurezza strettamente correlata alla ISO 27001 che
contiene i requisiti per la
certificazione dei sistemi di gestione della sicurezza delle informazioni
.

La ISO 22301 evidenzia i componenti chiave del sistema di
gestione della continuità operativa, peraltro presenti anche in altri sistemi
di gestione. Tra essi la politica,
le persone con le loro responsabilità definite, la gestione dei processi correlati a
politica, pianificazione, attuazione e funzionamento del BCMS, valutazione
delle prestazioni
, riesame di
direzione
e miglioramento,
nonché le informazioni documentate in grado di fornire evidenze
verificabili anche tramite audit sul
sistema di gestione della continuità operativa.

Il vantaggio di disporre di un BCMS correttamente
funzionante è quello di far sì che l’organizzazione sia preparata – attraverso
processi, procedure, responsabilità, risorse, controlli, competenze, ecc. – a
mantenere l’operatività a seguito di un’interruzione, ovvero di un evento
destabilizzante (in inglese viene utilizzato il termine “disruption”) che
mina i processi operativi critici.

Anche questa norma recepisce il metodo del “PLAN DO CHECK ACT” già noto da altre
norme dei sistemi di gestione.

Per questa norma il concetto di “parti interessate” o stakeholders è molto importante in
quanto una discontinuità (interruzione) nell’operatività dell’organizzazione,
una indisponibilità dei servizi essenziali per i clienti, un fermo delle
attività produttive per un periodo più o meno lungo, possono causare danni, sia
dal punto di vista commerciale, sia da quello finanziario, ma anche da quello
delle altre parti interessate, quali personale interno, individui della
collettività che subiscono danni anche fisici, fornitori, ecc..

Scopo della norma per la gestione della business continuity
è quello di specificare i requisiti atti proteggere l’organizzazione da interruzioni
quando accadono, ma non solo. Il BCMS ha anche l’obiettivo di ridurre la
probabilità che tali eventi negativi avvengano
, prepararsi ad essi e rispondere
in modo adeguato a ripristinare l’operatività nel più breve tempo possibile
qualora si verifichi un evento che provoca l’interruzione dell’operatività.
Naturalmente non si può pensare che un’azienda metta in atto azioni volte a
prevenire calamità naturali o pandemie, ma – facendo un esempio estremamente
attuale – una volta che sia stata conclamata un’epidemia su larga scala,
potrebbe porre in essere misure volte a prevenire il contagio fra i dipendenti e,
quindi, volte ad evitare che si verifichi un’interruzione totale dell’operatività
aziendale causata da un contagio interno molto diffuso. Questo, naturalmente,
al di là delle decisioni e delle disposizioni governative che hanno limitato l’operatività
di molte attività, ma non di tutte. Addirittura alcune aziende dovevano porsi l’interrogativo
se chiudere anticipatamente in base alla probabilità di contagio nella propria
zona fra personale dipendente.

La norma ISO 22301 definisce alcuni termini specifici sulla
materia tra cui il termine di continuità operativa (business continuity),
piano di continuità operativa (business continuity plan), analisi di
impatto operativo
(business impact
analysis
o BIA).

Oltre ad altri termini consueti delle norme della serie ISO
9000, altro termine significativo mutuato dalle norme della serie ISO 27000 è
quello di incidente che è definito
come “evento che può o potrebbe condurre ad un’interruzione, a una perdita,
a un’emergenza o a una crisi
” Al proposito la norma utilizza spesso il
termine interruzione che
rappresenta “un incidente che causa una deviazione negativa, non pianificata
dell’erogazione prevista dei prodotti e servizi secondo gli obiettivi di un’organizzazione
”;
modificando significativamente la definizione della precedente versione della
norma, forse più concreta e facilmente comprensibile ai più.

Verranno successivamente introdotti dalla norma degli
indicatori specifici per questa tematica come:

  • Maximum
    Tolerable Period of Disruption
    (MTPD) ovvero
    il tempo massimo accetabile che può trascorrere a fronte degli impatti
    negativi conseguenti ad una interruzione come risultato della mancata
    fornitura di un prodotto, erogazione di un servizio o svolgimento di un’attività
    operativa.
  • Recovery Time Objective (RTO):
    periodo di tempo entro il quale – dopo l’interruzione – i servizi erogati,
    la produzione, i servizi di supporto e le funzionalità operative devono
    essere ripristinati ad un livello minimo accettabile.

Il capitolo 4 della norma denominato “Contesto dell’organizzazione” contiene
gli elementi per comprendere il contesto dell’organizzazione, tra cui i fattori
interni ed esterni che influenzano la sua capacità di conseguire i risultati
del BCMS. La norma stabilisce che nell’ambito del Sistema di gestione per la
continuità operativa debbano essere identificati i requisiti dell’organizzazione e delle sue parti interessate, che
dovranno essere tenuti in debito conto nella progettazione del sistema di
gestione dell’organizzazione

Tra i requisiti da prendere in considerazione viene dedicato
un punto specifico ai requisiti legali e regolamentari, ovvero quei
requisiti cogenti che determineranno gli obiettivi di minima del BCMS e dei
piani di continuità operativa. Ciò aiuterà nella definizione dello scopo e campo di applicazione del sistema di gestione
di continuità operativa
. A tale riguardo la norma stabilisce le modalità
attraverso le quali l’organizzazione deve stabilire i confini del BCMS e quali
processi, prodotti e servizi sono compresi nel sistema di gestione e quali
parti dell’organizzazione agiscono all’interno di esso, dettagliando eventuali
esclusioni che, comunque, non possono influenzare negativamente i risultati del
sistema di gestione ed i livelli di operatività stabiliti nell’analisi di
impatto.

Al punto 4.4 la norma stabilisce che l’organizzazione deve
implementare, mantenere attivo e migliorare continuamente un sistema di
gestione della continuità operativa, inclusi i processi necessari e le relative
interazioni fra essi, in accordo con i requisiti di questo standard
internazionale (ISO 22301).

Il capitolo 5 della norma è denominato “Leadership”. In esso la norma
stabilisce che l’alta direzione (ovvero il top
management
) deve possedere leadership e dimostrare un impegno preciso
rispetto al sistema di gestione per la continuità operativa. L’impegno del management
viene poi esplicitato attraverso una serie di responsabilità della direzione
relative al sistema di gestione quali, ad esempio, assicurare che politiche ed obiettivi
siano stabiliti, che le risorse necessarie siano messe a disposizione e che vi
sia un’adeguata comunicazione all’interno dell’organizzazione relativamente ai
requisiti del sistema di gestione della continuità operativa.

Sono poi stabiliti requisiti relativi alla definizione della
politica per la continuità operativa
e la definizione della struttura
organizzativa dell’organizzazione
, quindi la definizione di ruoli
responsabilità ed autorità.

Il capitolo 6, denominato “Pianificazione” stabilisce che:

  • L’organizzazione deve attuare
    azioni rivolte ad affrontare i
    rischi ed alle opportunità
    , in particolare assicurando che il sistema riesca
    a perseguire gli obiettivi ed i risultati stabiliti, prevenire o ridurre
    gli effetti indesiderati sul BCMS e mirare al miglioramento continuo.
  • Vengano definiti obiettivi per la business continuity e soluzioni/piani per raggiungerli;
    tale aspetto, con le dovute modifiche, è del tutto analogo ad altri
    sistemi di gestione: gli obiettivi devono essere misurabili, devono essere
    monitorati, occorre stabilire chi è responsabile, che cosa deve fare,
    quali risorse sono richieste, quando dovranno essere completate le azioni
    finalizzate al perseguimento degli obiettivi e come dovranno essere
    valutati i risultati. Unica differenza rispetto ad altri sistemi di
    gestione è che nella definizione degli obiettivi bisognerà tenere conto di
    un livello minimo di servizio o di prodotto fornito ritenuto accettabile
    dall’organizzazione nel raggiungimento dei suoi obiettivi.

Viene anche chiarito, in una nota, che i rischi di questa
sezione sono quelli che influenzano l’intero BCMS, non i rischi che minacciano
la continuità operativa, trattati al successivo punto 8.2.

Il capitolo 7 della norma denominato “Supporto” stabilisce i requisiti per
alcune attività e processi di supporto, quali – in generale – la gestione delle risorse, le competenze del personale, la consapevolezza dello stesso personale
relativamente al sistema di gestione della continuità operativa e la comunicazione, sia essa interna che
esterna. In particolare, per questo tipo di sistema di gestione, le modalità ed
i mezzi di comunicazione sono molto importanti per garantire la continuità del
servizio anche durante i periodi di indisponibilità delle risorse critiche.

Infine, l’ultima parte di questo capitolo è dedicato alle informazioni documentate, i cui
requisiti relativi riguardano le modalità di gestione di documenti, dei dati e
delle registrazioni richieste dalla norma.

A questo riguardo è opportuno precisare che, nell’ambito
della business continuity, i
documenti – in particolare i piani, le procedure e le istruzioni operative –
necessarie per ripristinare nel più breve tempo possibile i servizi richiesti
durante i periodi di crisi successivi ad un’interruzione, dovrebbero essere
accessibili dai responsabili nominati, dunque occorre prevedere supporti
alternativi per i documenti che potrebbero non essere disponibili nel formato
originario, su supporto elettronico o cartaceo. Pertanto, tali documenti
dovrebbero essere resi disponibili su supporti ed ubicazioni realmente
utilizzabili in funzione del tipo di crisi (scenario) previsto in fase di pianificazione.

Il capitolo 8 della norma, denominato “Attività operative”, è quello che è
stato maggiormente modificato rispetto alla versione precedente della norma e rappresenta
il cuore della ISO 22301 in quanto tratta gli aspetti di pianificazione e controlli
operativi, l’analisi di impatto e la valutazione dei rischi e, infine, la strategia di business continuity e le
relative soluzioni adottate, ovvero tutto ciò che l’organizzazione intende fare
per garantire la continuità operativa, compresa la definizione dei business
continuity plan
o piani di continuità operativa, la loro applicazione e
test/esercizio.

Nei suddetti paragrafi sella sezione 8 vengono specificate,
tra l’altro, le modalità di effettuazione e documentazione della analisi di impatto operativo e della valutazione del dei rischi, per la quale può essere preso come
riferimento quanto indicato nella ISO 31000 (UNI ISO 31000 – Gestione del rischio – Principi e linee guida). Occorre
precisare che sia l’analisi di impatto sia la valutazione dei rischi dovranno
prendere in considerazione i rischi che possono impattare la continuità
operativa, quindi i rischi che si verifichino incidenti distruttivi che portino
a situazioni di crisi o di interruzione dell’operatività e, conseguentemente, a
situazioni insostenibili per i requisiti stabiliti di continuità operativa e
per la propensione al rischio dell’organizzazione. A fronte di tali situazioni,
in base ai risultati della valutazione dei rischi, dovranno essere determinate
e poste in essere le azioni conseguenti per mantenere la continuità operativa.

Le soluzioni per garantire la continuità operativa
devono essere finalizzate a:

  • rispettare i requisiti di continuità e di
    recupero delle attività prioritarie entro le tempistiche prestabilite e
    capacità concordate;
  • proteggere le attività prioritarie dell’organizzazione;
  • ridurre le probabilità di un’interruzione;
  • accorciare la durata di un’interruzione entro
    limiti tollerabili;
  • limitare l’impatto di un’interruzione sui
    prodotti e servizi dell’organizzazione;
  • provvedere alla disponibilità di risorse
    adeguate a poter affrontare le situazioni di crisi.

Le soluzioni identificate devono essere scelte in base ai
requisiti da soddisfare, i rischi ritenuti accettabili, i costi ed i benefici. Per
attuarle dovranno essere stabiliti i requisiti e le necessità di risorse umane,
tecnologiche, infrastrutturali, ecc.

Il punto 8.4 della norma fornisce indicazioni su come progettare
i piani di continuità operativa e le procedure da mettere in atto per
garantire la continuità operativa dell’organizzazione a fronte di un’interruzione.

Il capitolo 9 della norma tratta la “Valutazione delle prestazioni”. Vengono
qui illustrati i requisiti relativi al monitoraggio,
alle misurazioni, all’analisi ed
alla valutazione dei processi che
hanno un impatto sulla continuità operativa; in particolare vengono esplicitati
i requisiti relativi ad indicatori e
metriche finalizzate al monitoraggio
dell’efficacia del BCMS.

Nel capitolo 9 vengono anche trattati i requisiti
standard per i sistemi di gestione riguardanti gli audit interni ed il riesame di
direzione
. Anche qui, rispetto alle altre normative sui sistemi di gestione,
il focus è sui rischi risultanti dall’analisi di impatto e sul risk assessment.

Nel capitolo 10, denominato “Miglioramento”, sono trattati le non conformità, le azioni correttive ed il miglioramento
continuo
. Relativamente a non conformità ed azioni correttive la gestione è
analoga ai sistemi gestionali descritti nelle altre normative sui sistemi di
gestione (ISO 9001 in primis). Sono inoltre introdotte le azioni che vengono
messe in atto al fine di perseguire il miglioramento continuo del sistema e
delle sue prestazioni.

Premesso ciò, le non conformità relative al sistema di
gestione della continuità operative – normalmente incidenti ed altri eventi che hanno generato interruzioni oltre
ad altre situazioni nelle quali si verifica il non soddisfacimento dei
requisiti procedurali – dovranno essere identificate e dovranno essere attuate
prontamente correzioni per eliminare, quando possibile, gli effetti della non
conformità stessa e le relative conseguenze. Inoltre, si deve valutare la
necessità di intraprendere azioni correttive finalizzate ad eliminare le cause
della non conformità.

In conclusione, le organizzazioni che vorranno adeguarsi a tale
normativa e certificarsi secondo le proprie esigenze di business, quasi
certamente avranno già messo in atto e certificato un sistema di gestione per
la qualità ISO 9001, ma probabilmente alcune di queste organizzazioni avranno
anche già implementato il sistema di
gestione della sicurezza delle informazioni ISO 27001
, pertanto lo sforzo
per conformarsi a questa norma sulla business
continuity
non sarà eccessivo. Infatti, molti requisiti sono comuni fra la
norma ISO 22301 e la norma ISO 27001 nella quale esiste già un obiettivo di
controllo riguardante la continuità operativa che impone di predisporre uno o
più business
continuity plan
per garantire la continuità nell’erogazione del
servizio o nella produzione, ma a fronte di interruzioni dovute a
indisponibilità di informazioni.

Al proposito occorre notare che la norma tratta la gestione
di tutti i tipi di discontinuità o interruzioni di servizio, non
necessariamente solo quelli legati all’indisponibilità dei sistemi informatici,
anche se quasi tutte le organizzazioni vedono come principale pericolo per la
propria continuità operativa il blocco dei sistemi informatici che ormai
governano quasi tutte le attività aziendali.

Gli esempi di situazioni nelle quali la continuità operativa
non è minacciata da interruzioni e disastri legati ai sistemi informatici sono
sotto i nostri occhi in questo periodo.




RPO e RTO: come progettare il disaster recovery

In questo articolo parleremo ancora di business continuity, ovvero di business continuity plan ed in particolare della progettazione delle procedure di disaster recovery.

Molte organizzazioni che non predispongono un vero e proprio piano di continuità operativa (o business continuity plan, BCP), comunque hanno una procedura di disaster recovery, più o meno evoluta. Purtroppo, però, questa attività viene delegata quasi interamente ai responsabili ICT senza coinvolgere il management, i responsabili dei processi primari di business ed in particolare di quelli più critici.

Non che i responsabili ICT non siano in grado di progettare una procedura di disaster recovery adeguata, ma spesso sono loro stessi che stabiliscono i requisiti di base del disaster recovery, ovvero implicitamente definiscono gli obiettivi RTO e RPO che dovrebbero essere alla base della procedura.

Riprendiamo le definizioni di questi indici, già esposte in precedenti articoli, per capire meglio di cosa si tratta.

  • Recovery Point Objective (RPO) ovvero il punto (l’istante nel tempo) al quale le informazioni sono coerenti e possono essere ripristinate per consentire la ripresa delle attività (denominato anche Maximum Data Loss).
  • Recovery Time Objective (RTO): periodo di tempo entro il quale i servizi erogati, la produzione, i servizi di supporto e le funzionalità operative devono essere ripristinati dopo l’incidente che ha generato la discontinuità.

 

Facciamo un esempio per comprendere meglio il significato degli indici sopra esposti.

Supponiamo che una piccola organizzazione che opera nel settore dei servizi, denominata ALFA srl, decida di effettuare un backup incrementale dei propri dati con frequenza giornaliera su un NAS interno, mantenendo le ultime 7 versioni dei dati e che poi, per cautelarsi a fronte di eventuali catastrofi naturali che potrebbero rendere inutilizzabile il sistema informatico aziendale e tutti i backup salvati su NAS, effettui anche un backup completo su nastri DAT con cadenza settimanale. I nastri magnetici dell’ultimo backup settimanale sono conservati a casa del titolare, a 20 km di distanza dalla sede dell’azienda, il quale quando si porta via il backup restituisce quello della settimana precedente.

Qual è il valore di RPO e RTO per questa azienda?

Occorre distinguere fra diversi tipi di problemi (disastro):

  1. Si tratta di un crash del sistema che ha comportato la perdita dei soli dati (eventualmente anche dei supporti di memorizzazione) oppure
  2. Si tratta di un evento catastrofico che ha reso inutilizzabile l’intero server e l’infrastruttura informatica della sede di ALFA?

Evidentemente nel primo caso potrebbero essere sufficienti i backup su supporto NAS da ripristinare su un nuovo hard disk, reperibile in tempi brevi. Dunque il RTO potrebbe essere pari anche ad una sola giornata, dipende dal tempo che si impiega a ripristinare il sistema (tempi di acquisto dei nuovi supporti di memorizzazione, tempi di eventuale reinstallazione del sistema operativo del server e degli applicativi, ecc.). Il RPO invece è pari ad una giornata di lavoro o meno, a seconda dal tempo trascorso dall’ultimo backup giornaliero eseguito. In questo caso per valutare correttamente il RTO occorre capire quanto tempo si impiegherebbe a reinstallare il sistema, partendo dai supporti originali oppure da un’immagine del sistema creata attraverso l’impiego di macchine virtuali. Questa seconda soluzione, certamente più costosa della prima, potrebbe abbassare drasticamente il RPO.

Nel secondo caso il ripristino dell’operatività dipende anche dai danni generati alla sede dell’organizzazione: che si sia verificato un terremoto che ha reso inagibili i locali oppure un’alluvione i cui danni possano essere riparati entro qualche giorno o settimane la situazione può essere sensibilmente differente e il RTO, anche in questo caso può essere di alcuni giorni o settimane, indipendentemente dalla strategia di backup implementata. Il backup settimanale su nastro, conservato in un luogo sicuro (da valutare se la distanza dalla sede è sufficiente per garantire un’alta probabilità di evitare danni), garantirebbe un RPO di al massimo una settimana di dati persi.

Bisogna capire se questi valori, di RPO e RTO, sono accettabili per l’organizzazione oppure le perdite, in termini di dati e di discontinuità operativa, mettono a repentaglio la sopravvivenza dell’azienda.

Ricordiamo che per alcune attività critiche il verificarsi di eventi disastrosi con RTO di settimane e di RPO di una settimana potrebbero portare a danni economici ingenti, non coperti da polizze assicurative (ritardi nella consegna di commesse con addebito di penali da parte del committente, perdita di commesse importanti, ecc.).

In questa seconda situazione occorrerebbe certamente un sito di disaster recovery, ovvero un sito alternativo, geograficamente distante dalla sede principale dell’azienda, in grado di consentire la ripresa dell’attività in pochissimo tempo (ore, al massimo una giornata lavorativa) e la perdita dei dati di al massimo una giornata, dunque ottenendo un RTO = 1 giorno e RPO = 1 giorno. Ciò potrebbe essere ottenuto senza investimenti consistenti in una struttura gemella, ma dotandosi di una infrastruttura tecnologica in cloud.

In conclusione la procedura di disaster recovery dovrebbe essere progettata da personale competente (responsabile IT, consulenti esterni, …) basandosi su precisi input da parte della Direzione aziendale, derivanti da obiettivi di RPO e RTO ritenuti adeguati per l’organizzazione. La procedura di disaster recovery progettata avrà dei costi (che possono variare in base alle soluzioni scelte) che la Direzione dovrà mettere a budget per garantirsi gli obiettivi desiderati. Viceversa bisognerà migrare verso obiettivi meno ambiziosi di RPO e RTO, ma la Direzione deve essere consapevole di ciò. In caso di disastri, infatti, nessuno potrà accusare altri di non aver pensato alle giuste contromisure ed ognuno si assumerà le responsabilità che gli spettano.




La sicurezza delle informazioni in caso di calamità naturali e non naturali

terremotoIn caso di catastrofi e calamità naturali quali terremoti, alluvioni, inondazioni, incendi, eruzioni vulcaniche, uragani oppure atti terroristici, uno dei danni collaterali dopo la perdita di vite umane e i danni materiali ad edifici ed infrastrutture, occorre considerare il blocco dei sistemi informativi che può rallentare notevolmente la ripresa delle normali attività.

Le metodologie da impiegare per prevenire e mitigar i danni che possono compromettere la ripresa delle attività dopo un evento catastrofico riguardano la tematica della business continuity (continuità operativa).

Nell’intervento presentato lo scorso 17/11 al Convegno EVENTI SISMICI: PREVENZIONE, PROTEZIONE, SICUREZZA, EMERGENZA, le cui slide sonono scaricabili in questa pagina, si sono presentate tutte le attività da porre in essere per controllare tali situazioni indesiderate, in particolare sono stati trattati i seguenti argomenti:

  • business continuitymanagement
  • normative ISO 22301, ISO 2001/27002 e ISO 27031 per la gestione della business continuity, con particolare riferimento ai sistemi informatici
  • gestione dei rischi per la continuità operativa
  • disaster recovery
  • obiettivi ed indicatori di business continuity
  • business continuity plan (piano di continuità operativa).

La sicurezza dei dati in caso di terremoto