Cosa hanno in comune privacy, cloud computing e business continuity?

Montagna01In precedenti articoli (Il cloud computing e la PMI, i sistemi di gestione della sicurezza delle informazioni, ISO 22301 e la business continuity, le novità sulla privacy) abbiamo affrontato tutti questi argomenti che, indubbiamente, hanno un unico filo conduttore.

Oggi molte aziende, fra cui anche numerose PMI, hanno dati “nel cloud”, ovvero memorizzati in risorse fisiche non collocate all’interno dell’azienda, bensì su internet, magari senza rendersene conto. Infatti, oltre a veri e propri servizi cloud erogati da fornitori specializzati, molte PMI utilizzano servizi di archiviazione gratuiti quali SkyDrive, Dropbox o Google Drive in maniera non strutturata, in quanto sono propri reparti o uffici o addirittura singoli collaboratori che, per praticità, hanno pensato di sfruttare suddetti tool di archiviazione remota.

In altri casi alcune organizzazioni utilizzano software via web che memorizzano i dati su server remoti, magari presso il fornitore del software (spesso si tratta di Saas, Software as a Service).

Tra i principali aspetti negativi che hanno generato diffidenza sull’archiviazione nel cloud c’è sicuramente la sicurezza dei dati, declinata in termini di riservatezza. Molti imprenditori, infatti, hanno la sensazione che alcuni dati riservati (informazioni commerciali, proprietà intellettuale relativa a progetti, ecc.) debbano rimanere in azienda per paura che qualcuno li possa consultare.

Risk  assessmentNormalmente una PMI, specialmente una piccola impresa, non effettua un’adeguata valutazione dei rischi che corre e, pertanto, valuta questo argomento a sensazione, piuttosto che con fatti concreti. Quali sono infatti i rischi reali?

In una logica di Risk Assessment, naturalmente, ogni impresa fa storia a se; bisogna conoscere quali dati vorrebbe mettere sul cloud, qual è il livello di riservatezza che tali dati devono avere, se si tratta di dati sensibili, quali procedure di backup sono implementate, di che tipo di connessione internet si dispone e così via.

In linea generale parlare di dati poco sicuri nel cloud perché si teme che qualcuno possa “guardarci dentro” non ha molto senso: a parte che bisognerebbe valutare quale livello di sicurezza ci si aspetta per ogni tipo di dato (si veda il precedente articolo sulla valutazione dei rischi per la sicurezza delle informazioni), oggi molti repository di dati nel cloud forniscono ampie garanzie di sicurezza, soprattutto se sono gestiti da importanti player del settore, quali Microsoft, Google, Amazon, ecc.

Se, come al solito, decliniamo il termine Sicurezza in Riservatezza, Integrità e Disponibilità (ISO 27000 docet) e valutiamo nel complesso il livello di rischio che incombe sui dati nel cloud, vediamo che, a fronte di un livello di riservatezza più che adeguato (i dati di una PMI nel cloud normalmente sono sufficientemente protetti da sguardi indiscreti, grazie alle misure di sicurezza informatica che i fornitori più seri offrono ormai per default), certamente superiore a quello che si può ottenere all’interno dell’azienda stessa (dove potrebbero esserci soggetti interessati a curiosare dove non dovrebbero) la garanzia di integrità dei dati è più che buona, ma sulla disponibilità degli stessi occorre fare qualche riflessione.

Su quest’ultimo aspetto incide non solo l’affidabilità del fornitore di servizi cloud e dell’infrastruttura di cui dispone, ma anche la connessione internet che, ancora ogg,i non è sicuramente adeguata in molte imprese italiane, sia per velocità, sia per continuità del servizio. È proprio questo l’anello di congiunzione con la continuità operativa, più elegantemente detta business continuity.

Infine la privacy, ovvero la protezione dei dati personali con la relativa legge italiana (D.Lgs 196/2003) ed il nuovo Regolamento Europeo che sarà emanato probabilmente il prossimo anno. In questo ambito un Parere della Commissione Europea del 2012 ha per il momento fugato molti dubbi sulle garanzie legali che un’impresa dovrebbe richiedere al proprio fornitore di servizi cloud per essere tranquilla di non incorrere in pesanti problemi legali.

Uomo al PCProbabilmente molti contratti che regolamentano la fornitura di servizi cloud (spesso mascherati sotto la fornitura di software as a service) non cautelano adeguatamente l’organizzazione che, non dimentichiamolo, è titolare del trattamento dei dati memorizzati in un server chissà dove. È prassi consolidata, infatti, di numerosi fornitori di SaaS di spostare i database dei propri clienti nello spazio web più conveniente per rapporto qualità/prezzo, non importa se in Canada o in Australia In tali situazioni le aziende non dovrebbero dimenticare che come titolari del trattamento sono i responsabili di fronte alla legge su eventuali inosservanze del Codice della Privacy e che “esportare” i dati personali fuori dalla Comunità Europea non è sempre possibile, come minimo occorre richiedere il consenso dell’interessato.

Dunque quali interrogativi deve porsi un’azienda coscienziosa prima di affidare i propri dati al cloud?

Vediamo i principali, fermo restando che solo dopo una precisa valutazione dei rischi si può determinare quali aspetti sono più critici in ogni singola realtà.

  1. Il contratto con il fornitore mi garantisce adeguatamente rispetto alla normativa sulla privacy?
  2. Il livello di riservatezza necessario sui dati è adeguatamente garantito da misure di sicurezza dichiarate contrattualmente dal fornitore?
  3. La disponibilità dei dati garantita contrattualmente (SLA) è adeguata alle mie esigenze?
  4. Posso rientrare in possesso dei miei dati quando voglio e senza costi eccessivi?
  5. Il fornitore è sufficientemente affidabile? Si serve di subfornitori egualmente affidabili e resi noti contrattualmente?
  6. In caso di perdita dei dati quali sistemi di disaster recovery mi garantiscono di rientrare operativo nel più breve tempo possibile? Tale tempo è coerente con le mie esigenze operative?
  7. So esattamente in quale stato o area geografica sono memorizzati i miei dati?
  8. Ho considerato tutti i possibili fattori di rischio che possono incombere sulla mia continuità operativa?
  9. Ho definito gli obiettivi di disponibilità del servizio e di business continuity in caso di situazione di crisi?
  10. Sono in grado di monitorare il comportamento del fornitore ed eventualmente sottoporlo ad audit sul rispetto dei vincoli contrattuali?

Oggi esistono molti sistemi per garantirsi un futuro tranquillo con i dati nel cloud, ad esempio seguendo i principi ed i metodi indicati dalle norme della famiglia ISO 27000 (ISO 27001 che riporta i requisiti di un sistema di gestione della sicurezza delle informazioni certificabile, ISO 27002 che riporta le best practices, ovvero i controlli che possono essere messi in atto, ISO 27005 che è la linea guida per il risk assessment, …) includendovi i requisiti cogenti per la privacy in vigore in Italia ed in Europa. Se il problema di mantenere una certa continuità operativa costituisce un fattore critico si può adottare la metodologia esposta nella ISO 22301 ed in altri standard e linee guida sull’argomento.

Mediante gli stessi sistemi ci si può garantire in modo adeguato nei confronti del fornitore, ad esempio esaminando il contratto con un supporto legale competente, verificare se il fornitore dispone di certificazioni ISO 9001, ISO 27001, ISO 22301 oppure dispone di un Report SSAE 16 (“Statement on Standards for Attestation Engagements” n. 16 , standard AICPA per il reporting sui controlli alle organizzazioni che forniscono servizi in outsourcing, richiesto dalle aziende soggette al Sarbanes-Oxley Act o SOX,  Sezione 404).

Se ascoltiamo quello che ci raccontano gli esperti di sicurezza informatica che relazionano nei frequenti seminari o convegni sull’argomento non c’è certo da stare tranquilli nemmeno all’interno della propria azienda (tra ransomware e data leakage ogni tanto nascono minacce sempre più terrificanti per il futuro delle nostre imprese, senza dimenticare il comportamento dei collaboratori disonesti) e, quindi, un cloud consapevole può veramente essere una buona cosa.

Dall’altra parte la software house che fornisce applicazioni web-based con l’opzione di memorizzare i dati, anziché su un server interno all’azienda, su un server remoto (ovvero nel cloud) dovrebbe prendere in considerazione tutti gli aspetti sopra esposti, sia al fine di fornire un servizio pienamente conforme alle normative applicabili e di piena soddisfazione di tutte le esigenze del cliente, sia al fine di non incorrere in problemi legali nel caso in cui qualcosa andasse storto, anche solo a causa del proprio fornitore di servizi cloud. Dunque valutare quali tipi di dati verranno archiviati nel cloud dai propri clienti e quali garanzie forniscono i fornitori di spazio di archiviazione a cui ci si rivolge (le caratteristiche di un data center sicuro sono state esposte in un articolo apparso lo scorso anno sulla rivista INARCOS).

In conclusione, come per qualsiasi decisone o progetto strategico, le aziende (clienti e fornitori) dovrebbero valutare con adeguate competenze la situazione nel suo complesso ed i rischi che si potrebbe correre. Purtroppo tali competenze, informatiche, legali e gestionali spesso non sono presenti in piccole realtà poco strutturate che, quindi, rischiano di incorrere in problemi significativi e se poi trattano dati sensibili, in particolare dati sanitari, potrebbero veramente incorrere in perdite economiche e di immagine molto importanti.




Una metodologia di valutazione dei rischi per la sicurezza delle informazioni

Risk  assessmentLa norma UNI CEI ISO 27001 (Sistemi di gestione della sicurezza delle informazioni – Requisiti), recentemente pubblicata in nuova versione 2013 dall’ISO, richiede una valutazione preliminare dei rischi sulla sicurezza delle informazioni (punto 4.2.1) al fine di implementare un sistema di gestione della sicurezza delle informazioni idoneo a trattare i rischi che l’organizzazione effettivamente corre in merito all’Information Security.

Gli approcci possibili alla valutazione dei rischi possono essere diversi ed i metodi per effettuare il cosiddetto Risk Assessment possono variare di caso in caso, in funzione della dimensione, della complessità e del tipo di organizzazione che si sta esaminando.

La ISO 27005 (Information security risk management) è il principale riferimento per la gestione del rischio in ambito sicurezza delle informazione, ma anche altre norme quali la ISO 31000 (Risk management – Principles and guidelines) – recepita in Italia come UNI ISO 31000 (Gestione del rischio – Principi e linee guida) – e ISO 31010 (Risk management – Risk assessment techniques) possono essere prese a riferimento.

Vediamo un esempio di possibile approccio alla gestione del rischio finalizzato a preparare una valutazione dei rischi sulla sicurezza delle informazioni.

Il processo di gestione dei rischi comprende le seguenti fasi, descritte nel seguito:

1)      Identificazione dei rischi

2)      Analisi e ponderazione dei rischi

3)      Identificazione e valutazione delle opzioni per il trattamento dei rischi

4)      Scelta degli obiettivi di controllo ed i controlli per il trattamento dei rischi

5)      Accettazione dei rischi residui.

Le attività suddette vengono descritte nel Rapporto di valutazione dei rischi (Risk assessment report).

L’identificazione dei rischi che incombono sulla sicurezza delle informazioni avviene attraverso:

a)      L’identificazione degli asset significativi all’interno del SGSI: tale attività avviene come descritto nella procedura Identificazione e valutazione degli asset.

b)      La valorizzazione ai fini del SGSI degli asset rilevati: tale attività avviene come descritto nella procedura Identificazione e valutazione degli asset. La valorizzazione degli asset in termini di riservatezza, integrità e disponibilità avviene per singolo asset oppure per gruppi di asset omogenei ai fini del SGSI; nel seguito in entrambe le situazioni si utilizzerà il termine asset intendendosi anche “raggruppamento di asset”.

c)       Identificazione delle minacce/pericoli che incombono sugli asset: tale attività viene svolta valutando le minacce note della letteratura e quelle ipotetiche specifiche in relazione ai servizi svolti dall’organizzazione. Le minacce vengono associate agli asset (e quindi alle informazioni che essi gestiscono) e vengono valorizzate in una scala da 1 a 3 (Bassa, Media, Alta). La stessa minaccia può assumere un livello di gravità diverso a seconda dell’asset cui si applica..

d)      Identificazione delle vulnerabilità: tale attività viene svolta valutando le vulnerabilità note della letteratura, quelle ufficiali comunicate da fonti autorevoli e quelle ipotetiche specifiche in relazione ai servizi svolti dall’organizzazione. Le vulnerabilità vengono associate agli asset (e quindi alle informazioni che essi gestiscono) e vengono valorizzate in una scala da 1 a 3 (Bassa, Media, Alta). La stessa vulnerabilità può assumere un livello di gravità diverso a seconda dell’asset cui si applica.

e)      Identificazione degli impatti o conseguenze che la perdita dei requisiti di riservatezza, integrità e disponibilità possono avere sugli asset. Le conseguenze del concretizzarsi di una minaccia in grado di sfruttare una vulnerabilità vengono anch’esse valorizzate attraverso la formula seguente:

Impatto = Valore Asset x Gravità Minaccia x Gravità Vulnerabilità.

L’analisi e ponderazione dei rischi per la sicurezza delle informazioni identificati avviene attraverso:

a)      La valutazione della probabilità che si verifichino i singoli rischi identificati nella fase precedente. La probabilità di accadimento di un rischio avviene considerando gli incidenti verificatisi in passato e statistiche eventualmente disponibili. L’assegnazione di una livello di probabilità attraverso una scala qualitativa avviene secondo il seguente schema:

Valore Descrizione Esempio
1 Mai verificatosi ma possibile Non è mai accaduto nella storia dell’organizzazione
2 Raro Accaduto una volta all’anno
3 Periodico Accaduto circa 3 volte l’anno
4 Regolare Accaduto circa una volta al mese
5 Frequente Si verifica settimanalmente

b)      Determinazione dell’indice di esposizione al rischio moltiplicando la gravità dell’impatto per la probabilità. Il risultato ottenuto sarà un valore da 3 a 81.

c)       Definizione dei criteri di accettazione dei rischi: si stabilisce un livello minimo di tolleranza dei rischi al di sotto del quale i rischi vengono accettati ed al di sopra del quale i rischi devono essere trattati con azioni mirate.

Relativamente alla identificazione e valutazione delle opzioni per il trattamento dei rischi, per i rischi che si è deciso di trattare, in ordine decrescente dal maggiore al minore, vengono scelte delle azioni di mitigazione del rischio, che possono consistere nelle seguenti opzioni:

  • Ridurre il rischio attraverso l’applicazione di obiettivi di controllo e controlli preventivi e correttivi, finalizzati alla riduzione degli effetti (impatto) del verificarsi del rischio e/o alla riduzione della probabilità che si verifichi.
  • Evitare il rischio attraverso l’applicazione di obiettivi di controllo e controlli finalizzati ad evitare che si concretizzino le situazioni che permettono al rischio di concretizzarsi, ovvero ridurre a zero la probabilità che l’incidente paventato si verifichi.
  • Trasferire il rischio attraverso la stipula di polizze assicurative oppure l’esternalizzazione a fornitori di processi ed attività con la relativa presa in carico da parte del fornitore dei relativi rischi.

Tali azioni vengono documentate nel Piano di trattamento dei rischi. Esso deve definire le singole azioni da intraprendere, i tempi e le relative responsabilità e risorse per gestire i singoli rischi. L’efficacia delle azioni pianificate porterà ad un ricalcolo della valutazione dei rischi, ottenendo nuovi indici.

La scelta degli obiettivi di controllo e dei controlli per il trattamento dei rischi da attuare avviene in base dall’elenco dei controlli applicabili definito a partire dai controlli identificati a livello normativo (norme della famiglia ISO 27000) a cui si possono aggiungere altri controlli ritenuti utili.

I controlli vengono ritenuti applicabili o non applicabili, se applicabili possono essere attuati in modo completo o parziale. L’applicazione dei controlli può infatti essere ritenuta conveniente solo su alcuni processi/attività, in funzione della diversa esposizione al rischio che possiedono le varie attività svolte dall’organizzazione.

L’attuazione del piano di trattamento dei rischi porta all’accettazione dei rischi residui, ovvero ad evidenziare i rischi residui ritenuti accettabili, dato dall’insieme dei rischi valutati accettabili in sede di prima valutazione dei rischi ed i rischi residui trattati dalle azioni contenute nel piano di trattamento dei rischi.

Il piano di trattamento dei rischi riporta le seguenti informazioni:

1)      Elenco dei rischi da trattare;

2)      Descrizione delle relazioni fra il rischio e l’azione di trattamento del rischio prescelta;

3)      Descrizione delle relazioni fra il rischio e gli obiettivi di controllo ed i controlli selezionati per gestire il rischio.

Lo scopo della procedura Identificazione e valutazione degli asset (predisposta con riferimento alla ISO 27005 – Information technology — Security techniques — Information security risk management – Annex B – Identification and valuation of assets and impact assessment) dovrebbe essere quello di definire le modalità operative e le responsabilità per l’effettuazione e l’aggiornamento del censimento dei beni (asset) aziendali e la relativa valutazione, in termini di riservatezza, integrità e disponibilità delle stesse. In essa vengono stabiliti:

  • la classificazione degli asset;
  • l’identificazione di ogni asset che ha impatto sulla sicurezza delle informazioni;
  • la valutazione quantitativa di ogni asset in relazione alla sua importanza per la sicurezza delle informazioni.

La classificazione degli asset potrebbe distinguere due categorie principali di asset:

  1. Asset primari: processi/attività ed informazioni;
  2. Asset di supporto: hardware, software, reti, personale, sito, struttura organizzativa.

Gli asset possono essere delle seguenti tipologie:

  1. Information asset: dati digitali e non digitali, sistemi operativi, software applicativo, beni intangibili (conoscenza, marchi, brevetti, …).
  2. Asset fisici: infrastruttura IT, Hardware, Sistemi di controllo, Servizi IT.
  3. Risorse Umane: dipendenti, collaboratori esterni e consulenti.

L’identificazione e ed il censimento degli asset aziendali (asset inventory) ha lo scopo di identificare i requisiti di sicurezza (riservatezza, integrità e disponibilità) degli stessi e valutarne possibili vulnerabilità.

Ad ogni information asset deve essere associato un valore in termini di Riservatezza, Integrità e Disponibilità; tale valore viene espresso in termini qualitativi attraverso l’attribuzione di un  livello di importanza (Basso, Medio, Alto) a cui è associato un valore numerico crescente (1,2,3).

Ad ogni asset di supporto o asset non informativo (risorse fisiche e risorse umane) viene associato un valore in termini di criticità dell’asset, dato dalla somma dei valori di importanza dei requisiti dell’asset in termini di Riservatezza, Integrità, Disponibilità in funzione delle informazioni che esso gestisce. Dunque l’importanza di una risorsa per la sicurezza dipende dai requisiti di Riservatezza, Integrità e Disponibilità, espressi in livelli (Basso/Medio/Alto) a cui corrisponde il valore 1/2/3.

Di conseguenza il valore associato all’asset potrà variare da un minimo di 3 (Riservatezza=Basso + Integrità=Basso + Disponibilità=Basso) ad un massimo di 9 (Riservatezza=Alto + Integrità=Alto + Disponibilità=Alto).

Poiché gli asset possono essere di diversi tipi (risorse fisiche e risorse umane), la metodologia di valutazione dei requisiti di sicurezza delle informazioni è differente per ogni tipo di asset.

Il Valore dell’Asset in termini di sicurezza delle informazioni viene utilizzato nel Risk Assessment in combinazione con:

  • le minacce che incombono sugli asset che possono sfruttare le vulnerabilità rilevate degli asset stessi;
  • la probabilità che la minaccia si concretizzi in un incidente di sicurezza (delle informazioni);
  • la gravità dell’impatto associato all’incidente.



La nuova versione della ISO 27001 arriverà a fine 2013

Computer Monitor and Keyboard on Desk La ISO/IEC 27001, norma contenente i requisiti per un sistema di gestione della sicurezza delle informazioni, è in corso di revisione e la sua pubblicazione è prevista per l’autunno del 2013. La revisione riguardeà essenzialmente l’armonizzazione della norma alla ISO Guide 83 che prevede uno schema univoco per tutte le norme sui sistemi di gestione, a cui si stanno man mano adeguando gli standard di recente e futura pubblicazione.

Tale allineamento comporterà che tutte le norme riporteranno un significativo testo comune e ciò porterà un indubbio vantaggio per le organizzazioni che risparmieranno tempo nell’applicare le norme stesse, grazie all’integrazione tra i vari Sistemi di Gestione. Naturalmente ciò comporterà – per le organizzazioni già certificate per più sistemi – la necessità di revisionare la documentazione del sistema di gestione (integrato).

Il testo comune prevede i seguenti capitoli  a struttura comune : Introduzione, Norme di riferimento, Termini e definizioni, Contesto dell’organizzazione, Guida e Direzione (Leadership), Pianificazione, Supporto, Operatività (Operation), Valutazione delle Prestazioni e Miglioramento.

Altre modifiche riguarderanno la S.O.A., la comprensione del contesto dell’organizzazione, la Business Continuity, l’allineamento del Risk Assessment alla ISO 31000 e l’aggiornamento dei controlli di sicurezza dell’Annex A. Proprio per quest’ultimo motivo si prevede l’emissione congiunta della nuova ISO 27002 che rappresenta la linea guida per l’attuazione dei controlli.

Finora la ISO 27001 (pubblicata anche in versione italiana dall’UNI come UNI CEI ISO/IEC 27001) ha avuto un numero limitato di certificazioni in Italia, soprattutto se consideriamo che la certificazione di molet organizzazione è multisito e, quindi, il numero di certificati emessi è molto superiore alle aziende certificate.

Da un lato questo può essere imputabile ad un approccio un po’ “high-level” della norma che, pertanto, può essere applicata in modo completo solo dalle organizzazioni più grandi che dispongono di risorse e di personale dalle competenze adeguate.

Dall’altro la scarsa propensione delle PMI a tutto ciò che può ridurre i rischi del business, ma che richiede risorse dedicate per farlo ne ha impedito la diffusione capillare come è avvenuto per altri schemi. In questo contesto anche la privacy, a seguito dell’eliminazione dell’obbligo di redigere il DPS, è stata dimenticata da molte organizzazioni di medio-piccole dimensioni.

Il filo conduttore è sempre la sopravvivenza a cui mirano molte PMI in questo momento di crisi, trascurando diversi aspetti di miglioramento dell’efficienza e di riduzione dei rischi. Proprio i rischi legati alla sicurezza delle informazioni sono tra quelli trascurati, oggi che da un lato stanno crescendo i crimini informatici ed i reati legati al furto di informazioni di valore, dall’altro le aziende sono sempre più dipendenti dai sistemi informatici.

Sicuramente arrivare alla certificazione ISO 27001 è impegnativo e costoso (il numero di giornate di audit previste dallo schema di accreditamento è molto superiore a  quello della ISO 9001, a parità di dimensioni dell’organizzazione), ma questo non vuol dire che non si possa recepire l’approccio della norma in modo più semplificato ed attuare comunque i controlli che si ritiene adeguati a seconda del rapporto costo/beneficio (=riduzione del rischio) che essi possono portare.

Un sistema di gestione per la sicurezza delle informazioni ISO 27001 richiede, poi, un approccio culturalmente avanzato ed una conoscenza profonda dei processi aziendali e dell’impatto della sicurezza delle informazioni su di essi.

Purtroppo molte realtà ignorano che sicurezza delle informazioni non significa soltanto sicurezza dei sistemi informatici garantita attraverso l’adozione di un buon antivirus. Gli aspetti trattati dal SGSI ISO 27001 (e dai controlli della ISO 27002) sono molteplici e degni di nota: si va dalla sicurezza fisica dei locali (prevenzione e mitigazione degli effetti di incendi, allagamenti, inondazioni ed altri fenomeni naturali, prevenzione di furti ed altri atti criminosi) a quella logica dei sistemi informativi. Soprattutto si considerano tutti gli aspetti che possono minare la continuità dell’operatività aziendale (che genera profitti): dal furto di informazioni importanti all’interruzione dei servizi per le cause più disparate, il tutto considerando che le minacce più pericolose non sempre vengono dall’esterno dell’azienda, ma talvolta sono rappresentate da dipendenti e collaboratori infedeli o semplicemente incauti.

Ma quali sono le organizzazioni che più si avvantaggerebbero – sia dal punto di vista della riduzione dei rischi operativi, sia da quello dell’immagine sul mercato dall’applicazione di un sistema di gestione per la sicurezza delle informazioni ISO 27001? Sicuramente anzitutto Banche ed Istituti di Credito, Società finanziarie, Assicurazioni; insomma chi tratta flussi di denaro ed operazioni ad essi correlate tramite sistemi informatici. Tra esse forse le Compagnie di Assicurazioni (che trattano anche dati sensibili legati a polizze infortuni e malattie) sono probabilmente più lontane dallo standard ISO 27001, anche perchè sono costituite anche da piccole Agenzie che, di fatto, sono realtà con poco personale e con un’infrastruttura informatica ridotta per cui non dispongono di mezzi propri sufficienti per approcciare lo standard ISO 27001.

Per il resto tutte le realtà che trattano dati ed informazioni, anche riservate, in outsourcing per conto di organizzazioni più grandi, come quelle sopra citate, oppure Enti Pubblici potrebbero trovare nell’applicazione dei principi della ISO 27001 (e ISO 27002) valore aggiunto per garantire al cliente un servizio più sicuro. Dunque i vantaggi sarebbero sia dal punto di vista di riduzione del rischio di business, sia dal punto di vista commerciale e di marketing, presentandosi come organizzazione certificata per la sicurezza delle informazioni.

Infine tutte le organizzazioni che forniscono servizi amministrativi, legali e di assistenza fiscale o consulenza del lavoro trattano dati sensibili o comunque riservati per conto dei propri clienti, ma non sempre attuano quelle misure di sicurezza che sono auspicate anche dal Codice della Privacy nel Disciplinare dell’Allegato B. Per esse – parliamo di Studi Legali, Studi di Commercialisti o Società di Professionisti nel medesimo settore, Consulenti del Lavoro, ecc. – l’impatto della ISO 27001 potrebbe essere eccessivamente oneroso, soprattutto per le realtà più piccole, ma applicarne i principi, gli obiettivi di controllo ed i controlli delle ISO 27001/27002 potrebbe ridurre sensibilmente i rischi di business legati alla perdita di Riservatezza, Integrità e Disponibilità delle Informazioni.

Leggi il documento ACCREDIA sulla nuova norma

Al sito http://www.iso27001security.com/index.html (in lingua inglese) sono disponibili numerosi documenti, liberamente scaricabili, sull’implementazione del sisttema di gestione della sicurezza delle informazioni (o ISMS, Information Security Management System).