Il costo “vero” del prodotto 2022

Il presente articolo ha lo scopo di riproporre un precedente articolo di questo sito, denominato “il costo vero del prodotto” rivisitato e corretto in ottica presente, con i nuovi fattori destabilizzanti che stanno influenzando i costi della maggior parte dei prodotti realizzati dalle aziende italiane.

Mi riferisco in particolare all’aumento dei prezzi della materia prima ed all’aumento dei costi dell’energia, già rilevati nel post-pandemia (o meglio post “prima ondata”), che ora – a causa della guerra in Ucraina – assumono valori non solo molto più elevati rispetto al passato, ma presentano anche una notevole variabilità nel breve periodo.



In questi tempi di crisi internazionale e di ripresa (almeno in alcuni settori) è molto importante riuscire a valutare nel modo corretto il costo reale del prodotto, soprattutto per la piccola e media impresa (PMI). Ciò serve ad una serie di scopi che possono essere riepilogati nei seguenti:

  • Stabilire un giusto prezzo da proporre nell’offerta al cliente;
  • Valutare la remuneratività di una determinata commessa;
  • Fornire alla contabilità analitica uno degli elementi fondamentali per il controllo di gestione.

Oggi a tali obiettivi se ne aggiunge un quarto, ovvero essere in grado di riformulare rapidamente il costo (ed il prezzo) del prodotto a fronte della variabilità di alcuni fattori che contribuiscono ad esso (nella fattispecie costi della materia prima e dell’energia), al fine di essere reattivi nel rispondere a qualunque cambiamento al contesto di riferimento.

Se esaminiamo il caso della determinazione del costo del prodotto in un’industria manifatturiera, in particolare in un’azienda meccanica che realizza prodotti meccanici finiti, possiamo identificare una serie di problematiche connesse al costo del prodotto ed anche alcuni errori che vengono sistematicamente commessi da piccole (e talvolta anche medie) imprese del settore meccanico.

Innanzitutto, identifichiamo le componenti che determinano il costo del prodotto. Per semplicità consideriamo un prodotto/componente con distinta base mono-livello, ovvero non costituito da componenti che debbano essere realizzati o acquistati individualmente e poi assemblati fra loro per formare l’assieme. Tale semplificazione – a parte il fatto che non ci costringe a considerare una distinta base a più livelli del nostro prodotto – non comporta alcuna differenza nell’analisi dei concetti fondamentali su cui si basa il costo del singolo componente, infatti, nel caso di prodotto costituito da più componenti, sarà sufficiente sommare i costi dei singoli componenti per determinare il costo dell’assieme realizzato assemblando tutti i componenti di cui è composto.

La teoria della determinazione del costo del prodotto ha individuato due tecniche di aggregazione dei costi ben distinte: il criterio del costo pieno (full costing) ed il criterio del costo variabile (direct costing). Nessuno dei due è valido in assoluto, entrambi hanno pregi e difetti. Soprattutto, le informazioni offerte dai due metodi sono molto differenti.

L’approccio più corretto nel calcolare i costi è quello di utilizzare il full costing o il direct costing in funzione della decisione da prendere. Il che è quello che viene generalmente fatto, magari senza rendersene conto, da coloro che non posseggono un sistema formalizzato di Contabilità Analitica.

Il full costing fornisce un’immagine immediata del costo totale dell’oggetto analizzato (nel nostro caso il prodotto). Questa metodologia è ampiamente accettata: ai costi diretti dell’oggetto (materie prime, manodopera, consumi diretti) si somma una quota “convenzionalmente congrua” dei costi indiretti (ammortamenti, costi commerciali, costi distributivi, spese generali) in modo tale da configurare un costo totale.

Il direct costing, d’altro lato, è una metodologia di calcolo più moderna, nei sistemi di Contabilità Analitica, che consiste nel considerare i costi fissi non come costi da imputare al singolo prodotto, ma piuttosto come costi di periodo che devono essere necessariamente coperti per raggiungere un pareggio economico. Al prodotto vengono imputati solamente quei costi che gli sono oggettivamente riferibili, cioè i costi variabili.

Accanto a queste due tecniche tradizionali si è aggiunta la metodologia dell’ABC Costing (Activity Based Costing), basata sull’assorbimento di risorse (e di costi) da parte di attività che poi permettono di realizzare il prodotto.

Se un piccolo imprenditore avesse voglia di leggersi uno dei tanti testi teorici sulla contabilità analitica e sul controllo di gestione al fine di determinare il costo del prodotto si troverebbe disorientato dagli esempi proposti nella letteratura che prendono in esame la produzione di pochi prodotti con volumi ben determinati. La realtà della piccola impresa del nostro esempio è ben diversa: il costo presunto del prodotto deve essere determinato in fase di formulazione del preventivo, quando i volumi di produzione non sono ancora ben noti ed i tempi di realizzazione del particolare possono solo essere stimati.

Una volta determinato un costo (e di conseguenza un prezzo di vendita congruo) del prodotto occorre rivalutarlo nel tempo a fronte di eventuali aumenti dei costi componenti, di mutazione del contesto di mercato (es. maggiore o minore concorrenza sui prezzi), introduzione di vincoli normativi, cambiamenti organizzativi (nuovi macchinari, nuovo layout, nuovi stabilimenti,…).

Oggi queste variabili hanno assunto un peso molto significativo ed impongono una rivalutazione molto attenta non solo dei costi, ma anche del metodo di calcolo e dei criteri utilizzati. Infatti, un determinato criterio può essere idoneo se certi parametri variano poco attorno a determinati valori target, viceversa se la variabilità di questi parametri è stata molto significativa, anche i criteri dovrebbero essere rivisti.

Vediamo quindi quali sono le componenti che, sommate fra loro, andranno a costituire il costo finale (costo pieno, secondo la teoria del full costing) del prodotto, prendendo anche in considerazione le esigenze informative che sono richieste al sistema informatico gestionale per supportare l’imprenditore nelle scelte legate al costo del prodotto.

Il primo elemento che si prende in considerazione è il costo del materiale. Esso va, ovviamente, determinato calcolando il peso (quantità) del materiale necessario per realizzare ogni singolo particolare e moltiplicandolo per il costo (al kg o al grammo) del materiale stesso. Tale valore, ideale, dovrà subire parametri correttivi dovuti a diversi fattori:

  • Sfridi e scarti di materiale, dovuti anche al fatto che spesso materie prime come, ad esempio, l’acciaio vengono vendute in barre di una determinata lunghezza (e peso) e che l’alimentazione delle macchine automatiche genera delle rimanenze (spezzoni) che non possono essere riutilizzate.  
  • La fluttuazione dei prezzi della materia prima nel tempo può influenzare il costo del prodotto anche nel breve periodo ed in taluni casi esistono diverse opzioni per la scelta del materiale, di prezzo diverso e spesso anche di prestazioni diverse. L’estrema variabilità (in aumento) dei costi delle materie prime può anche far indurre a ritenere opportuno approvvigionarsi di materiale oggi perché domani il costo del materiale potrebbe essere superiore.
  • La gestione dell’acquisto del materiale comporta tempo del personale ed oneri di gestione, compresi costi di immagazzinamento e rischi di obsolescenza. In alcune situazioni questo suggerisce di applicare un piccolo sovrapprezzo sul costo della materia prima. Dovendo sopperire ad una carenza di materie prime (effettiva o prevedibile come in questi tempi) o tempi di consegna estremamente lunghi, probabilmente la scelta più sensata e approvvigionarsi del materiale di cui si pensa di aver bisogno in un periodo sensibilmente più lungo del solito, assumendosi un maggior rischio di obsolescenza nel caso in cui il materiale non venga utilizzato a causa di un calo degli ordinativi previsti nel lungo periodo.

Occorre, infine, tenere presente che talvolta il materiale è fornito in conto lavoro dal cliente, quindi non costituisce un costo per il fornitore che deve comunque gestirne l’immagazzinamento ed i controlli in accettazione, oltre ad eventuali sfridi e scarti di lavorazione.

Il secondo macro-elemento da considerare nella determinazione del costo del prodotto è il costo delle lavorazioni, il vero valore aggiunto che fornisce la nostra azienda al cliente. Qui l’azienda si gioca gran parte della propria competitività perché su queste attività c’è la maggior parte del margine aziendale, la ragione per cui il cliente ci ha scelti per realizzare il suo prodotto.

Il costo delle lavorazioni è dato dalla somma dei costi di tutte le fasi di lavorazione – interne ed esterne – comprese nel ciclo di lavorazione e controllo. Le fasi di lavoro si possono suddividere in quattro categorie: lavorazioni interne, lavorazioni esterne, operazioni di controllo ed attività logistiche (imballaggio, immagazzinamento, spedizione).

Ogni fase di lavoro svolta internamente può richiedere o meno una operazione di setup o attrezzaggio macchina – eseguita una volta per ogni commessa di lavorazione, salvo eccezioni – e comprende una lavorazione vera e propria effettuata su ogni singolo pezzo oppure sull’intero lotto produttivo. Dunque, ogni fase di lavoro ha un costo pari a:

[1] Costo fase i-esima = Costo orario di setup x tempo di setup + Costo orario di lavorazione x Tempo di lavorazione.

Da questa scomposizione emerge subito il fatto che mentre il primo addendo è indipendente dal numero dei pezzi lavorati, il secondo cresce proporzionalmente al numero dei pezzi lavorati; pertanto, ai fini del calcolo del costo del prodotto, la componente unitaria del costo di lavorazione della fase i-esima per unità lavorata è dato dal

 Costo unitario fase i-esima di lavorazione = Costo di setup/numero di unità lavorate + costo di lavorazione unitario.  

Nella formula [1] Il costo orario di setup è costituito da due componenti: il costo orario della macchina ed il costo orario dell’operatore, perché in questa fase sia la macchina, sia l’operatore che la attrezza impiegano contemporaneamente il loro tempo nella fase di attrezzaggio, di realizzazione dei primi pezzi (campione) e nel loro controllo, fintantoché non vengono realizzati particolari pienamente conformi alle specifiche e, quindi, avviene il cosiddetto Benestare Avvio alla Produzione (BAP). Il costo dell’operatore è pari al costo della manodopera di quel livello di specializzazione; infatti, solitamente è il personale più esperto (e meglio pagato) che si dedica all’attrezzaggio delle macchine. Oggi, con l’inflazione 2021 al 4,5% ed una prospettiva per il 2022 sicuramente in crescita, bisogna anche prendere in considerazione che il costo della manodopera possa aumentare a fronte di un aumento salariale che sarà inevitabile nel medio periodo. Il ragionamento è il seguente: se i prodotti al consumatore finale continuano ad aumentare (anche a causa dell’aumento del prodotto della nostra azienda campione), il potere di acquisto del consumatore finale si ridurrà e, quindi, si rischia che acquisti meno prodotti o non ne acquisti alcuni, con immediate ripercussioni sul nostro cliente diretto che ridurrà gli ordinativi e, quindi, diminuirà il nostro fatturato. Dunque, vedrete che se l’inflazione aumenterà ancora in modo sensibile, i contratti di lavoro dovranno prevedere un aumento delle retribuzioni.

Il costo orario della macchina viene invece determinato dividendo il costo complessivo di utilizzo della macchina o TCO = Total Cost of Ownership (costo di acquisto + costi di manutenzione e smaltimento) per il periodo ipotetico di utilizzo, costituito non dal periodo di ammortamento fiscale, ma dall’ammortamento reale, ovvero il periodo di vita stimato della macchina. Il tempo di utilizzo della macchina, espresso in anni e poi convertito in ore di lavoro, dovrà essere corretto con un opportuno coefficiente che rappresenta la quota parte di effettivo lavoro della macchina dopo la sottrazione dei fermi macchina per rotture, manutenzioni programmate ed indisponibilità di lavorazioni o personale che sia in grado di attrezzarla.

Visto che le macchine consumano energia, la quale costa sempre di più, è opportuno rivalutare periodicamente il costo dei macchinari, poiché in certi casi la sostituzione con macchinari nuovi e più performanti potrebbe ridurre i costi di produzione (diretti e indiretti) in misura tale da rendere più conveniente l’investimento di quanto si potesse pensare.

Tutto ciò al netto di valutazioni economico-finanziarie legate all’ammortamento fiscale già terminato, alla possibilità di fare un leasing e/o di sfruttare le agevolazioni per Industria 4.0. In quest’ultimo caso si otterrebbe un ulteriore vantaggio, ossia quello di essere in grado di determinare in tempo reale alcuni parametri ed indicatori della nuova macchina, tra cui l’effettiva disponibilità della stessa, che ci serve per un calcolo più preciso del costo del prodotto come sopra esposto.

Molti imprenditori sono soliti considerare che le proprie macchine lavorino a “x euro all’ora”, ma non hanno ben chiari i meccanismi attraverso i quali si è giunti alla determinazione del costo orario, spesso il dato è fornito dal consulente contabile in base all’ammortamento fiscale o alla rata del leasing, senza considerare fermi macchina e costi di manutenzione, che spesso non sono rilevati in modo preciso.

Il costo del setup di macchina è poi influenzato significativamente dalla variabile tempo: spesso i tempi standard considerati in fase di preventivo per il piazzamento della macchina si discostano notevolmente dai tempi effettivi impiegati per il piazzamento, che raramente vengono rilevati da un sistema di raccolta dati efficiente e preciso. Tornerebbe molto importante il lavoro del c.d. “Reparto Tempi & Metodi” che studia i tempi di lavorazione, presente nelle aziende più grandi. Oggi con sistemi informatici di ausilio alla produzione, in particolare i MES, è possibile avere a disposizione tempi reali di produzione, da confrontare con i tempi standard stabiliti in fase di preventivazione o progettazione del processo.

La disponibilità di tempi di setup e di lavorazione accurati non dipende solo dai sistemi informatici, ma anche dalla disciplina dell’operatore nel registrare puntualmente l’avanzamento delle attività.

Conoscendo i tempi di setup e di lavorazione reali con un buon grado di affidabilità potrebbe aiutare, attraverso tecniche della Lean Production, a ridurre questi tempi conoscendone l’effettivo risparmio in termini economici.

Il costo orario di lavorazione della suddetta formula [1] è costituito, anche in questo caso, dal costo orario della macchina e dal costo dell’operatore, ma mentre il primo elemento è identico al precedente, il secondo dipende dal tempo effettivo di impegno dell’operatore sul centro di lavoro. Nelle moderne lavorazioni meccaniche effettuate con macchine a controllo numerico di ultima generazione l’operatore non ha la necessità di presidiare la macchina ed è impegnato solo nelle attività di caricamento materia prima, controllo a frequenze prefissate di alcuni pezzi, sistemazione dei pezzi lavorati negli appositi contenitori, cambio utensili, gestione degli imprevisti, ecc.. La stima del tempo dell’operatore (generalmente di profilo più basso rispetto a colui che attrezza la macchina ed a chi è dedicato ad operazioni di collaudo) è difficile ed altrettanto complicata è anche la rilevazione del tempo effettivo impiegato dall’operatore. Normalmente è opportuno utilizzare dei parametri fissi, determinati a livello aziendale in funzione del rapporto macchine/operatori. Ad esempio, se in un reparto lavorano 2 operatori che supervisionano e controllano 4 centri di lavoro, si dovrà considerare il costo orario dell’operatore al 50% rispetto a quello effettivo (2 persone/4 lavorazioni). In tutto questo bisogna considerare il costo per i controlli in produzione, effettuati a cadenza prefissata (ad. 3 pezzi ogni 100 prodotti).

Diverso è il caso per lavorazioni eseguite manualmente dall’operatore pezzo per pezzo: in tal caso occorre considerare il costo orario pieno della manodopera come adendo del costo della lavorazione per tutta la durata della stessa.

Anche per la lavorazione la variabile tempo è importante: la determinazione del tempo standard unitario di produzione di un singolo pezzo spesso differisce da dati reali che, se raccolti informaticamente, possono permetterci di elaborare statistiche adeguate sui tempi effettivi di lavoro. Vari metodi di calcolo possono essere attuati per determinare il tempo effettivo di lavorazione di un pezzo: si può considerare la media generale di un numero minimo di lavorazioni, si può escludere dal calcolo del tempo medio il valore minimo e quello massimo (spesso causati da situazioni anomale), si può determinare una media pesata in funzione della dimensione del lotto (lotti maggiori possono fornire stime più affidabili), si può considerare un valore prudenziale dato dal valor medio incrementato della deviazione standard al fine di comprendere comunque la maggior parte delle situazioni e così via.

Altre considerazioni vanno fatte per le lavorazioni quali trattamenti termici o superficiali che richiedono un tempo di setup (dei parametri del processo) inferiore ed un tempo di lavorazione complessivo per l’intero lotto, indipendentemente dalle dimensioni dello stesso, o meglio fino ad un certo limite, oltre il quale è necessario effettuare una seconda lavorazione sulla seconda parte del lotto, raddoppiando così i tempi.

Spesso sono proprio queste le lavorazioni svolte esternamente, il cui costo è predeterminato dal prezzo del fornitore, che varia in maniera discreta/discontinua in funzione del lotto (ad es. fino a 1000 pezzi ho un certo prezzo, da 1000 a 5000 un altro prezzo e così via). Naturalmente, se la lavorazione viene esternalizzata occorre informarsi sull’aggiornamento dei prezzi dal fornitore… anche lui avrà ricalcolato i costi della sua lavorazione!

Molta attenzione è poi necessaria nella stima dei costi per fasi di lavoro particolari quali imballaggio, immagazzinamento, collaudo finale, ecc., nelle quali il costo dell’operatore incide in maniera diversa sul lotto di unità prodotte. Ad esempio, al collaudo finale il tempo dell’addetto è proporzionale al numero di pezzi controllati, non alla dimensione del lotto oppure per l’imballaggio il tempo dipende dal numero di colli realizzati.

Anche i costi dell’imballo (cartone, ecc.) – se non fornito dal cliente – potrebbero essere aumentati e bisogna considerarlo.

Infine, la spedizione potrebbe avvenire a carico del fornitore, quindi la nostra impresa deve ricalcolare anche il costo del trasporto, visto che è aumentato notevolmente anche il gasolio per autotrazione e i costi di trasporto lieviteranno di conseguenza. L’utilizzo di mezzi propri o di spedizionieri/corrieri esterni va considerato nei conteggi.

Dopo aver sommato il costo del materiale e quello di tutte le lavorazioni occorre, per arrivare a determinare il costo pieno del prodotto, stimare i costi indiretti, che dovrebbero costituire una quota minoritaria del costo complessivo, ma talvolta non sono trascurabili, soprattutto in periodi di crisi e di forte variabilità come questo che stiamo vivendo.

Qui nasce il problema di come ripartire fra i vari prodotti/commesse (in gergo si utilizza il termine “spalmare”) tutti gli altri costi non imputati direttamente al prodotto. La regola basilare è quella di non calcolare due volte una parte di costo, né di non coprire tutte le voci di costo dell’azienda.

Le voci di costo che solitamente non sono state attribuite direttamente ai prodotti possono essere raggruppate nelle seguenti:

  • Costi di struttura (affitto locali, consulenze, forniture per la struttura, ecc.);
  • Costi commerciali (pubblicità e marketing, provvigioni commerciali, spese di rappresentanza,…);
  • Costi del personale dipendente non direttamente impiegato nelle lavorazioni (impiegati amministrativi, responsabili ed addetti delle funzioni acquisti, qualità, sistemi informativi, ecc.), considerando anche le quote parte del personale della produzione che non viene impiegato nella produzione stessa per inefficienze, scarso lavoro, ecc.;
  • Consumi (energia elettrica, riscaldamento, ecc.), eventualmente depurati dei consumi direttamente imputati ai costi macchina: tali costi, come anticipato, possono essere aumentati di molto e difficilmente prevedibili anche in un medio periodo;
  • Materiali di consumo;
  • Quote di ammortamento (reali) di beni strumentali e licenze software;
  • Tutte le spese non considerate nelle voci sopraelencate.

Alcune semplificazioni possono essere effettuate senza alterare l’accuratezza del risultato. Considerando i costi indiretti e la produzione dell’esercizio precedente si può considerare che i costi indiretti da ribaltare siano una certa percentuale del costo del prodotto, ma occorre la massima attenzione per non incorrere in errori significativi. Poiché, infatti, la maggior parte dei costi indiretti sono anche costi fissi, cioè sono indipendenti dai volumi produttivi, il calcolo suddetto potrebbe essere inficiato da notevoli variazioni nei volumi produttivi, cosa molto frequente in questo periodo di forti variazioni.

Facciamo un esempio: se nel 2021 l’azienda ha fatturato 10.000 (in migliaia di euro) con costi della produzione pari a 6.000 e costi indiretti 2.000 (per un margine di contribuzione lordo pari a 2.000), l’incidenza dei costi indiretti è del 2000/6000 = 33% sui costi della produzione.

Supponiamo che nel 2021 il fatturato cali a 6.000 (-40%) ed i costi della produzione siano pari a 3.600 (sempre il 60% di ricavi), mentre i costi indiretti siano sempre 2.000. Per il 2022 l’incidenza dei costi indiretti sul costo della produzione è 2000/3600 = 56%, dunque quale percentuale consideriamo (33% o 56%) nella determinazione del costo del prodotto nel 2022 se non sappiamo quale sarà l’andamento dell’azienda? In periodi di forti fluttuazioni alcuni schemi di calcolo non sono più validi!

Quest’esempio deve essere considerato non come caso limite, ma come caso reale. Infatti, negli ultimi tempi abbiamo avuto un anno (2020) contraddistinto dall’inizio della pandemia con conseguente lockdown che ha avuto un impatto significativo, anche in termini di chiusure forzate, per molte aziende, con conseguente alterazione dei costi e dei ricavi. L’anno successivo, il 2021, è invece stato contraddistinto da una forte ripresa economica, ma con forti variazioni del mercato delle materie prime e dell’energia; dunque, anche nel 2021 il rapporto fra costi e ricavi potrebbe essere non particolarmente indicativo sull’evoluzione futura.

Altre valutazioni possono essere fatte, ad esempio si può ripartire i costi indiretti sulla base di altri cost driver, come ad esempio il tempo impiegato per produrre un singolo pezzo (comprensivo del tempo di setup della macchina): i costi indiretti possono essere suddivisi per giornata lavorativa e quindi per postazione/centro di lavoro, ottenendo un costo orario indiretto di ogni centro di lavoro, consumato dai pezzi lavorati per il lotto di produzione. Oppure utilizzare il metodo del direct costing per superare il problema.

Poiché i costi dell’energia sono in molti casi considerevoli, potrebbe essere utile affinare il calcolo di tali costi, da un lato introducendo dei contatori dei consumi energetici (energia elettrica e gas) che permettono di conoscere il consumo esatto di ogni centro di lavoro o reparto, dall’altro “far pesare” in modo differente certe fasi di lavoro più “energivore” rispetto ad altre, in funzione del lead time di produzione come esposto in precedenza.

In taluni casi, soprattutto per le aziende del settore automotive, il cliente prima di ordinare la produzione di importanti volumi di articoli, richiede l’approvazione del c.d. PPAP, ovvero una progettazione del processo produttivo per realizzare un nuovo articolo, comprendente anche la preparazione di una serie di documenti (FMEA di processo, certificato del materiale, diagramma di flusso del processo, control plan, ecc.) e la realizzazione di una campionatura di un numero limitato di pezzi. In questi casi il costo del nuovo prodotto dovrà comprendere anche una percentuale legata al costo per la progettazione del processo (se non pagato dal cliente), che andrà “ripartito” sui volumi di produzione che si pensa di realizzare.  

Infine, al costo del prodotto, va aggiunto un “piccolo” margine percentuale per determinare il prezzo da formulare nel preventivo. Tale prezzo, nel nostro algoritmo di calcolo, potrà essere variato in modo semplice in funzione di diverse variabili, modificabili a richiesta: costo del materiale, numerosità del lotto, frequenza e numerosità dei controlli, costo manodopera, sostituzione di una macchina per la produzione con un’altra equivalente dal punto di vista tecnico, ma con velocità produttiva diversa, capability differente (e diversa probabilità di generare prodotti non conformi), diversa incidenza dei costi indiretti, ecc..

In conclusione, il calcolo del costo del prodotto è molto articolato e le considerazioni sopra esposte possono variare in realtà diverse. Per ottenere risultati affidabili sono necessarie competenze adeguate (all’interno o all’esterno dell’azienda), sistemi informatici efficienti, rilevazioni dei tempi di produzione precise ed affidabili. Oggi, a maggior ragione per i motivi sopra esposti, è importante che il sistema di calcolo del costo del prodotto, una volta progettato, sia adeguato a fornire risultati immediati al variare dei parametri in input (ad es. costo della materia prima, costo dell’energia, costo orario delle macchine, ecc.). Tale sistema dovrà essere applicato, come detto, non solo alla preventivazione dei nuovi prodotti, ma anche alla riformulazione dei prezzi dei prodotti già a listino. Quest’ultima potrebbe non essere un’operazione semplice perché, a differenza del passato non si può più fare ragionamenti approssimativi del tipo: “la materia prima è aumentata del 10% per cui visto che la sua incidenza media sul costo dei vari prodotti è del 30%, aumenterò il prezzo di tutti i prodotti del 3% (=30% x 10%)”; perché si rischierebbe di sbagliare, finendo fuori mercato con i prezzi oppure rischiando di produrre sottocosto.

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Probabilmente il foglio Excel, seppur ben progettato, non basta più perseguire un ricalcolo a tappeto di tutti i costi dei prodotti; inoltre l’integrazione con i sistemi informatici gestionali è fortemente consigliata, per avere dati sempre aggiornati su articoli, listini, prezzi di vendita, prezzi di acquisto, cicli di lavoro e – attraverso l’integrazione con i sistemi di produzione (MES) – anche tempi effettivi di lavorazione, dati sulla qualità del prodotto (pezzi conformi e pezzi non conformi) e sulla disponibilità delle macchine, fino al calcolo dell’indice OEE.




La corretta ripartizione dei costi indiretti nelle imprese di costruzione

appaltipubbliciLe imprese di costruzione che realizzano opere edili o infrastrutturali per committenti pubblici o privati operano su commessa e pertanto necessitano di un controllo di gestione che permetta loro di tenere sotto controllo i costi delle diverse commesse a fronte dei ricavi delle stesse, stimati o concordati a priori con la committenza.

Oggi sia i lavori con committenza privata, sia – soprattutto – quelli pubblici, vengono acquisiti a prezzi molto ridotti, dunque un controllo dei costi corretto e preciso è indispensabile per cercare di mantenere un margine accettabile.

Mentre il calcolo dei costi diretti permette di monitorare l’efficienza della commessa, la ripartizione dei costi indiretti sulle varie commesse porta al calcolo del costo è pieno e quindi dell’utile di commessa ovvero della sua remuneratività.

Il controllo di gestione della commessa dell’impresa edile passa senz’altro attraverso una puntuale e scrupolosa consuntivazione dei costi diretti sui cantieri (materiali, manodopera, subappalti, ecc.), e su questo punto anche le piccole imprese hanno chiara consapevolezza (che poi lo applichino correttamente è un altro discorso). Viceversa la ripartizione dei costi indiretti sui cantieri è materia piuttosto oscura e spesso fonte di discussioni e punti di vista diversi.

Vediamo di affrontare il problema in modo rigoroso, partendo da un punto fondamentale: quali sono i costi indiretti? La prima risposta che sorge spontanea è «quelli che non sono costi diretti imputabili univocamente al cantiere».

Spesso le prime carenze di controllo dei costi nascono proprio da una non puntuale e precisa consuntivazione dei costi diretti, infatti se i materiali ed i subappalti sono generalmente imputati in modo preciso al cantiere/commessa di appartenenza, la consuntivazione delle ore del personale diretto sul cantiere è talvolta imprecisa. Ciò è dovuto principalmente al personale che lavora su più commesse e che non rendiconta in modo preciso la sua attività sul cantiere attraverso idonei rapporti di lavoro quando non è presente in cantiere, ma lavora per esso oppure fa tutt’altro: è il caso tipico dei Capi Cantiere, Responsabili o Direttori di Cantiere, Responsabili di Commessa, ecc. che operano normalmente su più commesse ed anche su attività per la struttura che dovrebbero essere classificate come costi indiretti.

j0182817Per la verità anche i materiali eventualmente non impiegati in cantiere, ma per esso acquistati, che ritornano in magazzino per essere utilizzati in altre circostanze richiederebbero una particolare attenzione dal punto di vista dell’imputazione dei costi.

Uno dei principali problemi nell’imputazione dei costi diretti di cantiere è generato dall’impiego di macchinari, strumenti ed attrezzature in cantiere. Talvolta la difficoltà di imputare i relativi costi ad un cantiere piuttosto che ad un altro, in caso di impiego molto dinamico della risorsa, porta a classificarli come costi indiretti, poi ripartiti secondo altri criteri ai vari cantieri. Si tratta invece di costi (diretti) che sono legati a fattori produttivi presenti nel cantiere, ma non effettivamente utilizzati.

Invece le ore di impiego di una risorsa presso un cantiere dovrebbero essere registrate in modo preciso ed addebitate al cantiere che ne beneficia, escludendo eventuali “tempi morti” legati al periodo durante il quale, ad esempio, una macchina operatrice resta parcheggiata presso un cantiere perché non ci sono altre commesse che la richiedono e non vale la pena farla rientrare in sede in previsione di un utilizzo su altro cantiere. Tale periodo di inoperatività dovrebbe infatti essere computato come costo indiretto.

Un’altra considerazione al riguardo sorge spontanea: quale costo orario viene considerato per suddette risorse? Vengono correttamente calcolati tutti i costi effettivi assorbiti dalla risorsa: costo di ammortamento fisico, costi di manutenzione, costi per materiali di consumo, costi per tarature nel caso di strumenti di misura,…?

Dopo aver correttamente imputato alla commessa tutti i costi diretti ed aver classificato e calcolato i costi “persi” come costi indiretti, occorre ripartire i costi indiretti sulle varie commesse che vedranno così calcolato non solo il costo primo (diretto) ed il relativo margine lordo di contribuzione, ma anche il costo pieno (in ottica full-costing) ed il relativo margine netto.

I metodi impiegati sono i più disparati: suddivisione equa per il numero di commesse, suddivisione in quota proporzionale al costo diretto, al ricavo/fatturato della singola commessa, alle ore di manodopera consuntivate, alla durata della commessa, ecc..

In realtà ogni metodo ha le sue giustificazioni razionali, ma, a seconda dei casi, ha anche le sue controindicazioni.

L’approccio scientificamente più corretto è invece quello di classificare i costi indiretti in varie categorie (costi di immagazzinamento, costi amministrativi, costi commerciali, ecc.) e ripartire ogni tipo di costo mediante un apposito driver specifico, coerente con tale voce.

I costi commerciali, ad esempio, potrebbero utilizzare come driver il fatturato/ricavi della commessa, ma se l’impresa opera sia sul mercato degli appalti privati, sia in quello degli appalti pubblici, è evidente che l’impegno per acquisire una commessa pubblica attraverso un bando di gara è decisamente superiore rispetto a quello profuso per preparare offerte a committenti privati. Se l’impresa ha due uffici distinti (ad es. ufficio gare ed ufficio commerciale clienti privati) per proporsi sul mercato sarà semplice attribuire i costi dell’ufficio gare alle commesse pubbliche e quello dell’ufficio commerciale alle commesse private, in proporzione ai ricavi medesimi. Viceversa occorrerebbe comunque imputare alle commesse pubbliche una quota parte dei costi commerciali indiretti maggiore, in base ad un criterio definito ed oggettivo. In questi casi sarebbe comunque meglio calcolare il tempo impiegato nella preparazione di ogni offerta – attraverso appositi consuntivi ore del personale – per poi imputare i relativi costi alla commessa che ne deriverà oppure, in caso di non aggiudicazione del lavoro, farli confluire nei costi indiretti commerciali.

I costi amministrativi potrebbero essere ripartiti nei cantieri attraverso driver quali fatturato, volume degli acquisti di materiali e subappalti, numero dei DDT ricevuti dal cantiere e così via; infatti l’impegno profuso dagli uffici amministrativi dipende dal numero di documenti contabili di acquisto e di vendita prodotti dal cantiere.

Gli oneri finanziari dovrebbero essere imputati al cantiere secondo competenza, in base al ricorso a risorse finanziarie della commessa (capitale investito), diversamente l’ammontare globale dei costi è un buon driver, eventualmente corretto dalla durata del cantiere (più tempo resta aperto il cantiere, maggiore sarà il ricorso a finanziamenti di capitale proprio o di terzi).

I costi di risorse tecniche quali macchinari, strumenti ed attrezzature per la quota parte non imputata direttamente al cantiere costituiscono i cosiddetti “costi persi” e potrebbero essere ripartiti in base al costo diretto della commessa oppure alla parte di costi diretti legata all’impiego delle stesse attrezzature.

Il lavoro indiretto, costituito dall’attività del personale tecnico di sede a supporto del cantiere (Direttore Tecnico, Responsabili della pianificazione delle risorse, computisti, ecc.) dovrebbe invece essere ripartito in base alle ore del personale diretto sul cantiere.

In questo modo ogni tipologia di costo indiretto avrà un suo proprio criterio di riparticione, che potrà essere specifico e diverso per ogni singola realtà aziendale in quanto dipenderà dal modo di operare dell’impresa stessa.




I centri di costo, questi sconosciuti

174082251Le piccole imprese, in particolare le organizzazioni di servizi che operano su commessa, per calcolare il costo del servizio/commessa a preventivo o a consuntivo normalmente operano nel modo seguente.

1)      Calcolano tutti i costi diretti: ore lavorate dal personale interno, ore o costi a forfait del personale esterno (consulenti o collaboratori a progetto, ecc.), costi per materiali e spese vive (in particolare spese di trasferta).

2)      Aggiungono una quota in percentuale che rappresenta le spese generali (costi fissi).

3)      Aggiungono il margine di contribuzione o utile d’impresa, eventualmente comprensivo di una quota di imprevisti.

In generale gli errori più frequenti sono commessi in relazione al secondo punto, oltre a quelli riguardanti il metodo adottato.

Infatti, se la previsione o la rilevazione a consuntivo dei costi diretti è generalmente corretta, salvo previsioni sbagliate dovute ad errori di valutazione e ad altri fattori che esulano dalla presente trattazione, il voler arrivare ad un costo pieno del prodotto (full costing) imputando una quota parte dei costi fissi o di struttura rappresenta spesso una forzatura che può portare a parecchie imprecisioni. Ad esempio ciò presuppone una costanza dei costi fissi rispetto ai ricavi e, soprattutto in questo periodo, questo rapporto non è sempre facilmente prevedibile e costante. Solo a consuntivo, a fine anno, è possibile avere dati certi, ma ciò non va bene per i preventivi formulati durante l’anno, che se sono stati sbagliati ormai il danno è fatto (lavoro perso oppure in perdita).

D’altro canto è spesso altrettanto vero che non tutte le commesse assorbono in egual misura i costi fissi, tutt’altro.

Purtroppo alcune organizzazioni usano calcolare a consuntivo, in modo abbastanza preciso, i costi diretti variabili di commessa, ma tutto ciò che non è tale viene attribuito alle “spese generali” o costi di struttura, che diventa un “calderone” ove tutti imputano ore e costi. Addirittura in qualche caso persino i membri della direzione, anche se spendono ore sulle commesse, non ripartiscono le attività svolte mediante adeguati consuntivi ore come il resto del personale, un po’ per pigrizia ed un po’ per noncuranza dell’importanza che ciò può costituire al fine di ottenere una precisa valutazione dei costi.

Alcuni ricorderanno il noto film “Il Socio” con Tom Cruise, tratto dall’omonimo romanzo di Grisham, nel quale tutti i professionisti, Partner compresi, caricavano tutte le ore possibili sui clienti dello Studio. Non credo che nel nostro Paese viga la stessa filosofia, soprattutto quando il lavoro viene svolto “a forfait” anziché “a consuntivo”; spesso è proprio il Socio a non dare il buon esempio ed a non ripartire le proprie ore lavorate su commessa, quando esse sono state vendute in modo forfettario.

Oltre a questo errore di fondo – che rende la valutazione dei costi diretti di commessa disomogenea e rischia di penalizzare alcune commesse, con quote di costi fissi rilevanti, proprio perché contengono anche le ore (normalmente molto costose) dei titolari dell’organizzazione – altri errori vengono commessi nella ripartizione dei costi di struttura.

Versare tutti i costi non su commessa in un unico contenitore che rappresenta le spese generali dell’organizzazione non permette di capire come effettivamente viene speso il tempo, che per le organizzazioni di servizi intellettuali è normalmente la risorsa più preziosa.

La chiave di volta è costituita dall’introduzione dei centri di costo, non quelli della contabilità generale, ma quelli della contabilità analitica (possono in qualche caso corrispondere, ma normalmente sono entità diverse).

Ecco dunque che si può definire delle destinazioni ove imputare ore lavorate ed altri costi: i centri di costo. Essi identificano unità organizzative (reparti, uffici, laboratori, ecc.) della struttura.

Al fine del controllo economico della gestione e della responsabilizzazione, la definizione di un valido piano dei centri di costo è essenziale; per realizzarlo è necessaria una conoscenza approfondita sia dell’organizzazione dell’impresa, che dei processi tecnici delle diverse operazioni ed attività produttive/realizzative.

I requisiti che un centro di costo deve possedere per poter soddisfare le esigenze di una moderna contabilità analitica e garantire l’esattezza del calcolo dei costi di funzionamento sono:

  • l’omogeneità;
  • la possibilità di attribuzione di tutte le sue spese di funzionamento;
  • la responsabilizzazione unitaria del costo del centro.

Affermando che i centri di costo si suddividono in diretti, indiretti e “di struttura”, già si capisce che c’è una prima forte distinzione rispetto alle visioni di molte piccole organizzazioni, ovvero la ripartizione dei centri di costo – e quindi dei costi – fra centri indiretti e centri di struttura o “a spese generali”.

L’attribuzione di talune attività al centro di costo “costi commerciali”, piuttosto che al centro di costo “costi sistemi informativi” oppure “costi per l’amministrazione” non è un puro esercizio didattico, infatti a valle di ciò ci sarà un’allocazione dei costi conteggiati nei singoli centri di costo in modo non equiripartito su tutte le commesse, bensì attraverso un driver opportuno. Inoltre si ha la possibilità di stabilire un budget per ogni centro di costo e di effettuare analisi degli scostamenti, a consuntivo, per verificare se determinate tipologie di costi sono state superiori al previsto e per quali motivi. In altre parole tutto ciò per tenere davvero sotto controllo i costi, attività che per alcuni significa soltanto «spendere il meno possibile su qualsiasi cosa».

In alternativa è possibile rilevare le ore del personale (si veda anche l’articolo sul “Consuntivo ore del personale“) non solo sulle commesse cliente, ma anche sulle commesse cosiddette “interne”. Come tali vanno definite commesse su cui imputare le ore spese per attività commerciali, formazione, organizzazione interna, manutenzione dei sistemi informativi e così via.

Questa strutturazione permetterà di attribuire in modo più corretto i costi non diretti alle commesse in base all’effettivo (o quasi) consumo di risorse aziendali. Ad esempio:

  • una commessa acquisita tramite trattativa con un cliente privato non può accollarsi i costi indiretti di un ufficio gare che opera per l’acquisizione di commesse pubbliche nell’ambito della stessa organizzazione;
  • un’attività di progettazione di opere civili richiede l’impiego di risorse differenti (software di calcolo, CAD) rispetto a quella di una Direzioni Lavori;
  • lo sviluppo di software su una piattaforma open source non ha i costi di realizzazione di un software che richiede un ambiente di sviluppo proprietario con alti costi di licenza,
  • il servizio contabile di predisposizione di un Bilancio di Esercizio per un’azienda cliente impiega risorse diverse (software di gestione) rispetto ad una consulenza fiscale di altro tipo;
  • la gestione di una causa civile assorbe risorse diverse rispetto alla consulenza per la predisposizione di un contratto;
  • e così via.

Oltre a valutare in modo più corretto i costi reali di una commessa, tale approccio consente di avere, a fine anno o con la periodicità stabilita, un bilancio gestionale consuntivo con voci di costo molto più significative ed interessanti rispetto a quelle del normale bilancio civilistico.




Valutare correttamente i costi indiretti ed i costi fissi

j0078616In molte piccole imprese manifatturiere che lavorano conto terzi, ovvero producendo su commessa su specifiche del cliente, la determinazione del costo del prodotto, e quindi del prezzo da proporre in offerta, si imbatte in uno scoglio difficile da affrontare con la consapevolezza di fare la cosa giusta: la valutazione dei costi indiretti e dei costi fissi o di struttura da considerare in aggiunta ai costi variabili del prodotto, sicuramente meno ostici.

La problematica del calcolò del costo del prodotto e della determinazione del prezzo da formulare in offerta è già stata trattata in precedenti articoli (“Come calcolare il prezzo del prodotto“, “Come calcolare il costo vero del prodotto“) ma in questo articolo vorrei approfondire la valutazione dei costi “non variabili”, ovvero quelli derivanti da attività indirette o di struttura.

Riepilogando le tipologie dei costi che riguardano principalmente la nostra analisi sono le seguenti:

  • costi variabili: variano in funzione del volume di lavoro svolto , ferma restando la capacità produttiva totale. La variabilità può essere percepita come evitabilità di un certo costo (se non sussiste la richiesta del cliente o interna) in un dato periodo di tempo;
  • costi fissi: sono costi il cui ammontare è costante al variare del volume di lavoro svolto in un intervallo di tempo definito e non breve;
  • costi diretti: compongono direttamente il prodotto finito o la commessa. Rientrano in questa categoria le materie prime, la manodopera diretta, gli acquisti di prodotti e servizi forniti da terzi;
  • costi indiretti: sono tutti quelli non classificati come diretti, ad esempio, i costi di manutenzione, gli ammortamenti, l’energia ed i costi generali;
  • costi speciali o specifici: si riferiscono in maniera esclusiva all’oggetto osservato; ad esempio, l’ammortamento di una risorsa tecnica usato esclusivamente per un prodotto/servizio/commessa;
  • costi comuni: sono costi non collegabili ad un unico oggetto di osservazione, come ad esempio il costo del personale del reparto IT o sistemi informativi.

Queste tipologie sono a due a due complementari. I costi variabili si contrappongono ai costi fissi, i costi diretti agli indiretti, i costi speciali (o specifici) ai comuni. Ogni costo può dunque rientrare in ciascuno dei tre gruppi, facendo parte delle varie tipologie.

Concentriamoci sulla determinazione dei costi fissi, anche denominati “a spese generali” o di struttura, e dei costi indiretti. Generalmente questi costi vengono valutati in modo forfettario come una percentuale dei costi variabili senza una precisa motivazione, se non che sono troppo difficoltosi da calcolare in modo preciso.

Tra i costi indiretti rientrano normalmente quelli relativi al lavoro del personale indiretto (ufficio commerciale, magazzinieri, addetti al controllo qualità, capi reparto e capi officina, ufficio pianificazione della produzione, addetti alle spedizioni) e relative attrezzature (strumenti di misura e controllo, materiale di consumo, ecc.).

Determinare in modo preciso il tempo speso dalle suddette persone e l’impegno delle attrezzature è spesso molto arduo. È quindi opportuno determinare un criterio di ripartizione di tali costi, attraverso un driver opportuno, che permetta di allocare i costi indiretti alla singola commessa e quindi al prodotto.

I sopracitati driver non sono altro che indicatori quantitativi che ci permettono di stabilire quanto più una commessa ha assorbito le risorse indirette rispetto ad un’altra. Se da un lato il volume di produzione, ovvero il numero di unità prodotte per la commessa o il lotto, è un facile driver che ci consente di ripartire tutti i costi indiretti, è altresì vero che non tutte le commesse assorbono risorse indirette allo stesso modo. Ad esempio il tempo impiegato da magazzinieri ed operatori di produzione dipende dal volume dei prodotti, il tempo per il controllo qualità dai piani di campionamento e dal numero di unità prodotte, i costi per l’utilizzo delle apparecchiature di controllo dai tempi di controllo e dal valore delle stesse apparecchiature e dei relativi costi di taratura.

Un buon ciclo di produzione gestito informaticamente permetterà di determinare in modo preciso anche i tempi di controllo/collaudo e, quindi, di rendere diretti tali costi. In generale se la produzione è molto variabile per tipologia di articoli e dimensione degli stessi potrebbero essere validi anche altri driver quali il peso del materiale impiegato per la commessa o il tempo totale di produzione del lotto.

I costi di struttura, quali i costi degli uffici amministrativi e della direzione, i costi di affitto dei locali e le altre spese generali potrebbero essere ripartire mediante gli stessi driver identificati per ripartire i costi indiretti, ma non necessariamente i medesimi impiegati allo scopo. Mi spiego meglio: un’azienda potrebbe decidere di ripartire i costi indiretti o parte di essi secondo il numero di unità prodotte ed i costi fissi o di struttura mediante il volume o il peso di materiale prodotto.

Per quanto riguarda i costi commerciali (costi per la preparazione di offerte e gestione ordini, eventuali verifiche della progettazione e del disegno del cliente), essi dipendono per lo più dal numero di ordini ricevuti, piuttosto che dalle quantità prodotte.

Il sistema più corretto è quello di definire dei centri di costo (ufficio commerciale, amministrazione, ufficio produzione, magazzino, laboratorio, costi di affitto e manutenzione dei locali, sistemi informatici, ecc.) a cui imputare i costi sostenuti e poi “ribaltare” tali costi complessivi sulle commesse/prodotti in funzione di diversi criteri o driver stabiliti.

Ripartire i costi indiretti e di struttura in base al valore del prodotto potrebbe mettere tutti d’accordo e semplificare le cose: è quello che molti fanno – come abbiamo detto all’inizio – ossia aggiungere ai costi variabili una percentuale determinata in base all’incidenza generale dei costi fissi ed indiretti sul totale dei costi a bilancio. Purtroppo tale procedura potrebbe ingenerare errori in quanto l’incidenza dei costi fissi nell’anno n potrebbe essere molto diversa da quella dell’anno n+1 in periodi di forti fluttuazioni del mercato come quello che stiamo passando.

Alcuni imprenditori, poi, estremizzano il concetto di costi variabili e considerano i costi per il personale dipendente ed i costi per le macchine di produzione come costi fissi, seguendo il ragionamento seguente: «indipendentemente dai volumi di produzione i dipendenti li devo pagare e le macchine sono di proprietà dell’azienda e dunque i relativi costi di ammortamento vengono sostenuti.»

Tale visione non cambia la sostanza del calcolo del costo del prodotto: occorre ripartire i costi di personale e macchine/attrezzature sulle varie commesse. A questo punto bisogna fare attenzione a non trascurare parte dei costi sostenuti, infatti si può imputare alla commessa le ore di manodopera e le ore macchina effettivamente impiegate per realizzare i prodotti (parte variabile dei costi di personale ed attrezzature) e considerare come costi fissi le ore di manodopera e le ore macchina non allocate alle commesse produttive, nella fattispecie per il personale trattasi di ore impiegate per manutenzioni, organizzazione interna, formazione/addestramento, ecc.; per le macchine i fermi per rotture e manutenzioni programmate ed a guasto. Ma per entrambe le risorse rientrano le ore non lavorate dal personale e dalle macchine “inoperosi” per mancanza di lavoro!

Una visione secondo il direct costing, anziché il full costing, eviterebbe di commettere errori nella ripartizione dei costi fissi sulle diverse commesse/prodotti, permettendo un confronto più reale fra di essi. In molte realtà, però, il problema resta il corretto calcolo di alcune voci di costo, soprattutto quelli relativi alle macchine di produzione e, comunque, in tutti i casi in cui la classificazione dei costi della contabilità generale è molto diversa da quelle che sono le esigenze della contabilità analitica e del controllo di gestione.

Il predetto calcolo dei costi delle macchine, infatti, prevede il conteggio esatto dei costi di possesso e di manutenzione per ogni singola apparecchiatura. Se da un lato i costi di ammortamento (o i canoni di leasing) contabilizzati per ogni risorsa in contabilità generale non sono esattamente quello che serve ai nostri scopi, ma si avvicinano ad una valutazione reale, per i costi di manutenzione, invece, è necessario imputare ogni singola spesa alla macchina di pertinenza. Ciò richiede che ogni intervento di riparazione o manutenzione esterna abbia una fattura con voci di costo chiaramente attribuibili ad una macchina piuttosto che ad un’altra, idem per i canoni di manutenzione che il fornitore spesso potrebbe addebitare in forma indivisibile per tutte le apparecchiature da lui assistite.

Tornando ai costi di ammortamento civilistico, oppure ai canoni di leasing per le macchine in locazione finanziaria, essi rappresentano spesso valori poco realistici rispetto al prezzo di mercato attuale della macchina ed alla sua vita utile (comunque difficilmente prevedibile).

Infine vanno imputati alla macchina anche i costi per manutenzione interna (manodopera e materiale) ed i costi degli utensili e di altro materiale di consumo. Tali costi, tra l’altro, generalmente dipendono dall’obsolescenza dell’apparecchiatura.

Quando si sente un imprenditore dire che una determinata macchina (se non addirittura tutte) lavora, ad esempio, a 50 euro all’ora, forse bisognerebbe riflettere e capire bene quali costi ha effettivamente considerato per arrivare a tale valore.

In pratica occorrerebbe implementare un piccolo sistema informativo in grado di contabilizzare, per ogni risorsa fisica:

  • il valore di acquisto della macchina;
  • la vita stimata della stessa e gli eventuali costi di smaltimento al momento della sua dismissione;
  • il tasso di deprezzamento della macchina (le quote di ammortamento reali non saranno probabilmente costanti);
  • i costi di manutenzione/riparazione esterna;
  • i costi di manutenzione/riparazione interna (ore di manodopera interna valorizzate e costo dei materiali e ricambi impiegati);
  • i costi per materiali di consumo ed utensili;
  • i costi di funzionamento (energia elettrica ed altri eventuali costi);
  • le ore effettivamente lavorate dalla macchina per un determinato periodo.

In tal modo ogni anno sapremo il costo orario di ogni risorsa da attribuire alle commesse/prodotti.

In conclusione il problema non è solo come ripartire i costi indiretti ed i costi di struttura, ma anche come calcolarli in modo sufficientemente accurato quando le registrazioni della contabilità generale non è in grado di supportarci per tempistiche e criteri di imputazione.