Check-up azienda 360 e metodo UMIQ

Audit man with lensÈ ormai noto che il metodo UMIQ, ideato da Unindustria Bologna, è un sistema per far crescere l’azienda grazie all’innovazione ed alla qualità applicata ai principali processi aziendali, attraverso un’analisi critica e costante di:

  • Governance, strategia e cambiamento organizzativo
  • Gestione dell’informazione e dotazione ict
  • Gestione economico-finanziaria
  • Gestione risorse umane
  • Gestione mercato e vendite
  • Gestione portafoglio prodotti
  • Gestione delle operations.

Uno dei vantaggi dell’applicazione del “metodo” – come si è ampiamente trattato nel convegno “Metodo UMIQ e merito creditizio – Misurare l’innovazione e i nuovi asset immateriali nell’era post-industriale” organizzato dall’Ordine degli Ingegneri di Bologna lo scorso marzo – è quello di valorizzare i cosiddetti “asset immateriali”, siano essi sistemi ICT, know-how aziendale o competenze delle risorse umane, anche al fine di guadagnare maggior merito creditizio nei confronti degli Istituti Bancari e di altri soggetti in grado di finanziare lo sviluppo dell’impresa (Venture Capital, ecc.).

In realtà il metodo UMIQ non fa altro che mettere insieme una serie di metodologie di gestione aziendale già consolidate, magari limitate solo ad alcuni processi o attività, al fine di ricercare il miglioramento continuo dell’impresa attraverso il miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza dei diversi processi aziendali. Ciò è perseguito soprattutto puntando su Qualità ed Innovazione, sicuramente due punti deboli di molte imprese italiane.

j0078613Purtroppo oggi numerose aziende hanno un sistema di gestione per la qualità certificato ISO 9001, ma non “vivono” la qualità nei propri processi, anche perché applicano solo procedure finalizzate a dimostrare la conformità ad una norma che, finora, è stata applicata per lo più senza assimilarne i principi intrinseci (chi conosce ed applica veramente  i 7 principi della ISO 9000?). Ma qualità vuol dire anche migliorare l’efficienza, non solo l’efficacia, dei processi; quindi significa cercare di svolgere le attività usuali a parità di efficacia, ma con minor dispendio di risorse. Per fare ciò occorre analizzare attentamente i processi e le attività e cercare possibili miglioramenti che generalmente sono possibili aumentando le competenze del personale (è ovvio che una persona più competente svolge lo stesso compito meglio ed in minor tempo di una persona meno competente nell’attività specifica) ed introducendo sistemi informatici idonei, ma non solo. Esistono, infatti, diverse metodologie – alcune di esse esposte nel manuale del metodo UMIQ – in grado di scovare gli sprechi, gli errori e le inefficienze dei processi e di eliminarli. Però bisogna fermarsi, smettere di “lavorare a testa bassa” e dedicare tempo a questi aspetti, se si vuole accrescere la competitività aziendale.

Allora occorre analizzare l’impresa a 360° in modo imparziale, esaminare tutti i processi e gli aspetti importanti e meno importanti per capire i punti di forza e di debolezza dell’azienda. Solo così si può cercare di attivare quelle azioni di miglioramento necessarie per cercare di traghettare l’azienda fuori dal periodo di recessione che stiamo vivendo con nuove forze e prospettive migliori.

La crisi che sta attanagliando il mondo intero è sicuramente più grave nel nostro Paese che altrove (una recente indagine ha segnalato l’Italia come l’unico paese OCSE in recessione fra quelli più industrializzati) e le cause di questo ricadono anche su fattori endemici: si può facilmente affermare che lo Stato ed i suoi meccanismi e rappresentanti hanno aggravato la situazione italiana, ma anche i comportamenti e gli atteggiamenti personali (si pensi a corruzione ed evasione fiscale) hanno contribuito e non da ultimo la gestione delle imprese negli ultimi decenni non ha puntato al miglioramento dell’efficienza come in altri Paesi leader.

j0078619Proprio su quest’ultimo aspetto le aziende devono investire tempo e risorse al fine di accrescere il valore dell’impresa, renderla più attraente nei confronti di eventuali investitori o finanziatori e, soprattutto, più competitiva nel mercato globale, tenendo presente che essere competitivi in un mercato non significa avere prezzi più bassi, ma avere un prodotto/servizio qualitativamente migliore al prezzo che il cliente è in grado di sostenere.

È dunque necessario fare il check-up dell’azienda per capire se e cosa si sta sbagliando, cosa si potrebbe fare meglio e cosa non si sta facendo per migliorare, esaminando tutti i processi aziendali sotto diverse ottiche, partendo dalla mission e vision aziendale, dalla strategia della direzione e dalla pianificazione strategica nel medio-lungo periodo, passando per i processi commerciali e di marketing, gli approvvigionamenti, la progettazione, la produzione, la gestione delle risorse, l’amministrazione, il controllo di gestione, ecc.. Il tutto tenendo sott’occhio i migliori sistemi e metodi per condurre un’impresa: non solo norme sulla qualità e metodo UMIQ, ma anche sicurezza delle informazioni per garantire l’operatività, compliance (sicurezza delle persone, rispetto per l’ambiente, privacy…) per evitare contenziosi e sanzioni, strumenti di controllo di gestione per conoscere costi emargini, ecc..

Il punto debole di un’impresa potrebbe essere nascosto in qualsiasi processo e potrebbe rendere vani i tentativi di ripresa dalla crisi. Qualche esempio:

  • Un’azienda abituata ad accogliere passivamente le richieste di offerta e gli ordini dei clienti si potrebbe trovare ad essere essa stessa a dover cercare i clienti e, dunque, potrebbe accorgersi di essere inadeguata dal punto di vista commerciale (immagine aziendale, depliant, sito web, comunicazione).
  • Un’azienda potrebbe trovarsi a non essere più in grado di sostenere i prezzi bassi praticati dalla concorrenza e, quindi, si trova di fronte ad un bivio: eliminare costi fissi o variabili oppure puntare su un prodotto qualitativamente migliore.
  • Alcune organizzazioni potrebbero non essere più in grado di formulare preventivi vincenti perché la crisi ha portato forti cambiamenti nelle dinamiche dei costi e non si hanno gli strumenti per capire cosa fare.
  • Alcune aziende possono trovarsi ad operare con sistemi e procedure obsolete che rendono i processi di business meno efficienti, mentre la concorrenza, sfruttando meglio le opportunità offerte dai nuovi sistemi informativi basati sul web e dai nuovi strumenti di comunicazione, le ha scavalcate in qualità del servizio e competitività dei prezzi.
  • Molte realtà si ritrovano con personale fortemente demotivato per le vicissitudini che hanno portato a gestire il periodo di crisi attraverso azioni disincentivanti (tagli del personale, demansionamenti, riduzioni di orario e di compensi, comunicazione interna inefficace, ecc.) ed ora è difficile cercare di introdurre azioni di miglioramento senza la collaborazione del personale che conosce molto bene le logiche di funzionamento dell’impresa.
  • Alcune realtà hanno continuato a lanciare un messaggio di marketing controproducente a fronte di prodotti e servizi che hanno progressivamente peggiorato la loro qualità ed i clienti stanno scappando, ma non hanno pensato a cambiare la propria immagine sul mercato attraverso il miglioramento della qualità di prodotti e servizi e la ricostruzione dell’immagine commerciale.

Quelli sopra elencati sono solo alcuni casi che si possono trovare in numerose PMI del nostro Paese, tanti altri errori vengono commessi tutti i giorni, spesso inconsapevolmente, dalle nostre imprese.

j0202091L’imprenditore, poi, non può svolgere quest’analisi da solo o con propri dipendenti perché rischia di non essere obiettivo e di non conoscere i benchmark di riferimento. Facciamo un esempio: come potrebbe individuare le proprie carenze un operatore turistico che ha sempre lavorato solo nella sua struttura, ad es. un albergo, e non ha mai viaggiato come turista per sperimentare cosa fa la concorrenza? Quanti di noi – grazie ad una buona esperienza come turisti – sono in grado di suggerire ad un albergo qualsiasi come migliorarsi solo perché siamo in grado di fare dei confronti e di valutare servizi accessori che altri forniscono, opzioni di tariffa e quant’altro? Bene, se un albergatore di una località turistica estiva dovrebbe, nei periodi in cui non è impegnato, viaggiare in strutture analoghe in altri Paesi del mondo per capire cosa migliorare, lo stesso non può fare un imprenditore di un’industria manifatturiera che

  1. non ha tempo per visitare e analizzare altre aziende dall’interno;
  2. nessuno gli farebbe vedere e vivere dall’interno la propria impresa.

Per questo motivo deve affidarsi a soggetti esterni, che dispongono di una competenza diffusa su tutti i processi ed aree aziendali, grazie a conoscenze ed esperienze in diversi settori.

Da qui nasce Check-up azienda 360, il servizio che permette al vertice aziendale di capire quali sono i suoi punti di forza e di debolezza e cosa è possibile fare per migliorarsi partendo da un check-up a 360° della sua azienda.




Il controllo di gestione in outsourcing anche per la piccola impresa

img20131Oggi anche le piccole e medie imprese di organico inferiore alle 100 unità e fatturato inferiore ai 20 milioni di euro necessitano di un controllo di gestione accurato, per restare competitivi in un mercato che offre meno opportunità rispetto al passato e richiede una grande dinamicità e flessibilità nel soddisfare le esigenze del cliente, attraverso nuovi prodotti, modifiche a prodotti esistenti, riduzione dei lotti di produzione ed anche riduzione dei prezzi e, conseguentemente, dei costi di produzione.Se le imprese di oltre 50 dipendenti possono permettersi almeno una risorsa qualificata (o da formare in breve tempo) sul controllo di gestione, le organizzazioni più piccole raramente dispongono di risorse adeguate per implementare il controllo minimo necessario a soddisfare le esigenze di informazione per condurre l’impresa verso gli obiettivi che la direzione si è posta. Talvolta è proprio l’organizzazione interna, dal servizio amministrativo, alla rilevazione dei tempi e dei costi di produzione o del servizio, che non è idonea a rilevare i dati necessari per attuare un adeguato controllo sulla gestione economica e finanziaria. Così gli stessi consulenti esterni sugli aspetti fiscali – che in taluni casi potrebbero supportare l’azienda ad implementare un controllo di gestione minimale – non riescono a supportare la direzione nelle decisioni da prendere quotidianamente.

La soluzione, probabilmente l’unica per motivi di costo e competenze, potrebbe essere quella di affidare in outsourcing il controllo di gestione, supportando i fornitori esterni della consulenza con dati forniti tempestivamente con una certa frequenza e con il giusto grado di accuratezza.

Ma cosa significa implementare il controllo di gestione in una piccola impresa? Nella sua accezione classica il controllo di gestione comprende alcune pratiche la cui attuazione permette alla direzione di controllare la gestione aziendale attraverso una serie di informazioni ed indicatori. Da qui, soprattutto per le PMI, derivano diverse strade ed approcci per introdurre un controllo di gestione basilare, basato su attività abbastanza semplici (per chi le conosce), in grado di fornire le informazioni che servono alla direzione.

Soprattutto per queste piccole organizzazioni le esigenze di controllo sono molto diversificate: c’è chi necessita del calcolo del costo del proprio prodotto o servizio per formulare offerte più mirate, c’è chi potrebbe trarre giovamento dal calcolo di alcuni indici di bilancio per capire se e quanto la conduzione aziendale è corretta, c’è chi non può aspettare i dati di bilancio e necessita di un conto economico gestionale aggiornato trimestralmente o mensilmente, magari da confrontare con il budget, per capire se l’azienda sta guadagnando e quanto, c’è chi necessita solamente di tenere sotto controllo tutti i costi (management costing), altri, infine, necessitano di una gestione finanziaria in grado di tenere sotto controllo il cash-flow per soddisfare i fabbisogni di risorse finanziarie per tempo.

Il controllo di gestione può essere adottato in modo parziale, ma accurato, oppure per gradi e piccoli passi, utilizzando diverse tecniche per il calcolo del costo del prodotto (full-costing, direct-costing, activity based costing).

Sicuramente l’introduzione di solo alcune attività afferenti alla disciplina del controllo di gestione può fornire utili ritorni di informazione per migliorare la competitività dell’impresa, a differenza di altri sistemi manageriali e metodi di gestione che forniscono risultati tangibili solo se applicati in modo completo (ad esempio il sistema di gestione per la qualità ISO 9001 se non è attuato in modo completo e certificato potrebbe non fornire risultati apprezzabili).

Ogni realtà, quindi, necessita di un esame attento e competente per valutare quali tecniche di controllo di gestione possono essere implementate con efficacia ed efficienza, sottolineando quest’ultimo aspetto, ovvero quali risorse bisogna mettere in campo per ottenere risultati apprezzabili.

Come anticipato, l’implementazione del controllo di gestione non è (o forse non è più, almeno nella PMI) un qualcosa di standard: mentre per ottenere la certificazione ISO 9001 occorre affrontare tutti i punti della norma (una volta erano i “famosi 20 punti” ora ci sono i processi da individuare…), per introdurre il controllo di gestione in una piccola impresa può essere utile implementare una sola tecnica per ottenere grandi benefici. Per fare ciò occorre, però, capire bene l’organizzazione ed i suoi processi ed ascoltare le esigenze della direzione per poi focalizzarsi su quello che serve: calcolo del costo del prodotti piuttosto che gestione economico-finanziaria, controllo dei costi oppure conto economico gestionale, ecc..

Come tutti i “sistemi”, anche un buon sistema informativo di controllo di gestione, ovviamente basato su un’applicazione informatica (pacchetto software specifico, fogli Excel, database Access,…) e flussi informativi  ben progettati, può fornire risultati fuorvianti se i dati in input sono errati (gli anglofoni dicono «garbage in, garbage out»). È dunque necessario formare il personale aziendale che raccoglie i dati di base per insegnar loro a raccogliere dati coerenti per il controllo (ad esempio comprendendo che i dati utili al controllo vanno classificati non per natura, come richiede la contabilità generale, ma per destinazione). Tali dati possono poi essere elaborati esternamente – in outsourcing – da sistemi informativi appositamente predisposti e, quindi, esaminati e commentati per la direzione da consulenti esterni in grado di tenere sotto controllo gli indicatori importanti e fornire alla direzione le indicazioni fondamentali per intervenire con eventuali azioni correttive finalizzate al miglioramento della conduzione aziendale.

Il reporting periodico alla direzione, risultato dell’elaborazione dei dati raccolti dall’impresa stessa e vero valore aggiunto della consulenza, permette al vertice aziendale di prendere le decisioni giuste sulle problematiche affrontate dall’attività di controllo, in funzione di quelle che erano le esigenze iniziali della direzione.

Naturalmente col passare del tempo il personale, da quello operativo ai responsabili aziendali, acquisisce sempre più padronanza della materia e può maturare nuove esigenze, che porteranno ad estendere le tecniche di controllo di gestione implementate al fine di migliorare ulteriormente la competitività aziendale anticipando le decisioni giuste per guidare l’impresa.

Un ulteriore vantaggio del controllo di gestione può essere costituito dal miglioramento degli indicatori aziendali utili per il rating dell’impresa nei confronti degli istituti di credito che devono erogare i finanziamenti necessari per alimentare il motore dell’impresa. Anche sotto questo aspetto un conto è richiedere finanziamenti alle banche quando si presenta la necessità urgente di liquidità anche solo per effettuare gli acquisti indispensabili, un altro è poter programmare le richieste di finanziamento con anticipo perché si è in grado di prevedere i fabbisogni di liquidità in modo pianificato.

Ovviamente per molte piccole imprese il costo per implementare il controllo di gestione (costo della consulenza, impegno delle risorse interne, ecc.) rappresenta uno scoglio quasi insormontabile in un momento nel quale ogni spesa non strettamente necessaria per sopravvivere viene soppressa. Bisogna però pensare a quali opportunità si perde ed a quanto tempo viene spesso impiegato nella gestione della consuntivazione dei costi di prodotti e servizi o nella gestione finanziaria (oggi più che mai necessaria in un mercato di ritardati pagamenti) con strumenti (generalmente fogli Excel) inadeguati che spesso, a fronte di sforzi considerevoli per gestirli, forniscono risultati poco precisi.




Come calcolare il prezzo del servizio in offerta

Ufficio notebookFacciamo seguito a precedenti articoli sul calcolo del costo del prodotto e sul calcolo del preventivo per un nuovo prodotto trattando, in questo articolo, la tematica prezzo del servizio nel preventivo-offerta. Ipotizziamo un servizio ad alto valore aggiunto per il quale l’impresa di servizi si rivolge a collaboratori sia interni (dipendenti o personale con contratto professionale), sia esterni, ingaggiati all’occorrenza per svolgere il servizio. L’identikit è quello della piccola impresa di servizi che lavora su commessa, già oggetto di una mia recente pubblicazione (“Il controllo di gestione nelle piccole imprese di servizi su commessa” edito da Franco Angeli).

Per un’organizzazione di servizi (ad es. uno studio legale o di commercialisti, una società di consulenza, società dell’ICT o di ingegneria) è molto importante sapere quanto potrebbe costare realizzare un servizio al fine di formulare un preventivo corretto e determinare qual è la soglia di prezzo al di sotto della quale non ci si può spingere nel fare l’offerta, accettando serenamente, in tal caso, di essere sconfitti da un concorrente che ha offerto un prezzo inferiore (evidentemente troppo basso).

Occorre anzitutto tener presente che il calcolo del costo del servizio dipende in prevalenza da quanto tempo il personale impiegherà a svolgere le attività previste. Questa frase fa emergere due aspetti: quanto tempo ed attività previste. Un buon preventivo necessita di un’accurata stima del tempo che si prevede di impiegare, ma anche di una corretta valutazione di tutte le attività prevedibili nel lavoro, prendendo in considerazione anche eventuali attività impreviste che potrebbero far lievitare i tempi.

In linea di principio il calcolo del costo presunto di un servizio può essere svolto con due metodi di calcolo principali:

1)      Full costing: secondo il quale il prezzo del servizio viene calcolato come Prezzo = Costi variabili + quota parte dei costi fissi + margine (o utile d’impresa).  Secondo questa visione, oltre alla logica determinazione dei costi variabili, occorre stabilire la quota parte dei costi fissi che si vuole “allocare” alla futura commessa. Tale valutazione normalmente avviene calcolando il rapporto fra i costi variabili calcolati per il servizio ed i costi variabili totali d’impresa da moltiplicare per il totale dei costi fissi oppure moltiplicando i costi variabili per un coefficiente dato dal rapporto fra il totale di tutti costi ed i costi fissi totali d’impresa.

2)      Direct costing: secondo cui il prezzo del servizio non dipende dai costi fissi, ma viene determinato tenendo ben presente l’obiettivo globale dell’impresa di coprire tutti i costi fissi con ricavi adeguati, ovvero massimizzare il Profitto = Prezzo del servizio x numero di Servizi venduti – Costi Variabili unitari x   x numero di Servizi venduti – Costi Fissi globali, supponendo – per semplicità – di vendere tanti servizi identici allo stesso prezzo e con gli stessi costi variabili. Ciò in realtà non si verifica quasi mai, però il metodo non ne risente e la formula sopra esposta è più semplice della seguente Profitto = Σ(Prezzo servizio i-esimo –  Costi variabili servizio i-esimo) – Costi fissi. Dunque si calcolano i costi diretti del servizio, si ignorano in prima battuta i costi fissi e si applica al costo diretto un margine lordo comprensivo dell’utile e di una quota di copertura dei costi fissi. L’obiettivo, rispetto al full costing, è quello di vendere più servizi.

Nel settore dei servizi oggetto del presente articolo il metodo del direct costing si fa generalmente preferire rispetto a quello del full costing per i seguenti vantaggi:

  • La determinazione della quota parte dei costi fissi da attribuire ai singoli servizi è arbitraria e potrebbe penalizzare alcune attività rispetto ad altre, rendendo le offerte meno competitive e, quindi facendo acquisire meno commesse (ottica opposta rispetto al direct costing che punta sulla quantità di servizi venduti).
  • Il calcolo dei costi fissi da allocare alle potenziali commesse è basato su dati del passato e mai come in questo momento è bene non fidarsi troppo di dati dell’anno scorso per calcolare preventivi oggi.
  • Un calcolo preciso dei costi indiretti e di struttura realmente attribuibili al servizio richiederebbe un sistema di contabilità analitica abbastanza preciso e puntuale supportato da software adeguato, cosa che raramente accade nelle nostre piccole organizzazioni di servizio.
  • In periodi di capacità produttiva non saturata, ovvero di poco lavoro (come quelli che molte imprese stanno vivendo), è meglio acquisire un maggior numero di commesse a margini inferiori piuttosto che non saturare le risorse interne.

Ma, come sopra menzionato, questo vale nella generalità dei casi e, comunque, il full costing presenta anche indubbi vantaggi per il fatto che nel calcolo del preventivo verrebbero considerati tutti i costi aziendali e, dunque, non si rischia troppo di sottostimare i costi che nascono dalla realizzazione di un servizio e, quindi, di trovarsi a fine anno con un bilancio che espone più costi che ricavi.

Ciò premesso, a mio modo di vedere, sarebbe opportuno considerare un metodo misto che consideri tutti i costi diretti del servizio e parte dei costi indiretti o comunque “semi-variabili” che nascono solo se il servizio viene effettivamente svolto. Prima di addentrarci nel metodo di calcolo del nostro preventivo è però necessario riepilogare un po’ di terminologia sui costi, perché spesso si sente far confusione sul vero significato dei vari termini citati in precedenza con qualche semplificazione. Le tipologie dei costi che riguardano principalmente la nostra analisi sono le seguenti:

  • costi variabili: variano in funzione del volume di lavoro svolto, ferma restando la capacità produttiva totale. La variabilità può essere percepita come evitabilità di un certo costo (se non sussiste la richiesta del cliente o interna) in un dato periodo di tempo;
  • costi fissi: sono costi il cui ammontare è costante al variare del volume di lavoro svolto in un intervallo di tempo definito e non breve;
  • costi diretti: compongono direttamente il servizio svolto o la commessa. Rientrano in questa categoria la manodopera diretta (o prestazioni professionali), gli acquisti di prodotti e servizi forniti da terzi (servizi subappaltati, prestazioni di collaboratori/professionisti esterni);
  • costi indiretti: sono tutti quelli non classificati come diretti, ad esempio, i costi di manutenzione, i costi dei sistemi informativi, gli ammortamenti, l’energia ed i costi generali di struttura;
  • costi speciali o specifici: si riferiscono in maniera esclusiva all’oggetto osservato; ad esempio, l’ammortamento di una risorsa tecnica usato esclusivamente per un prodotto/servizio/commessa;
  • costi comuni: sono costi non collegabili ad un unico oggetto di osservazione, come ad esempio il costo del personale del reparto IT o sistemi informativi.

Queste tipologie sono a due a due complementari. I costi variabili si contrappongono ai costi fissi, i costi diretti agli indiretti, i costi speciali (o specifici) ai comuni. Ogni costo può dunque rientrare in ciascuno dei tre gruppi, facendo parte delle varie tipologie.

Per maggiori dettagli sui diversi tipi di costo e sulle tecniche di direct e full costing si rimanda al testo “Il controllo di gestione nelle piccole imprese di servizi su commessa” edito da Franco Angeli.

Come anticipato il metodo a mio parere più corretto per il calcolo del prezzo da formulane in offerta si basa su di un metodo che recepisce il meglio da entrambe le tecniche esaminate. Naturalmente ogni metodo va adattato alla realtà specifica in esame, al suo mercato ed alla disponibilità di dati passati su costi e ricavi per altre commesse.

Di conseguenza il calcolo del prezzo del servizio dovrebbe basarsi sulla somma dei seguenti elementi:

1)      costi diretti del personale interno;

2)      costi diretti di collaboratori esterni (professionisti, personale a contratto, ecc.);

3)      costi per materiali e servizi impiegati direttamente nel servizio;

4)      spese vive per viaggi e trasferte;

5)      costi indiretti e costi specifici attribuibili al servizio;

6)      margine lordo, comprensivo di utile d’impresa e di una quota di spese generali.

Le voci da 1 a 4 rappresentano i costi variabili della tecnica del direct costing, mentre la voce 5 permette di attribuire ad ogni singolo servizio una quota di costi specifici che con la tecnica del full costing verrebbe ripartita indistintamente fra tutti i servizi. Normalmente il margine lordo viene calcolato come quota percentuale  della somma di tutti gli altri costi, facendo però attenzione che un margine del 30% calcolato sul totale dei costi non equivale ad un margine lordo del 30% nel conto economico della commessa (riprendendo l’esempio di un precedente articolo: se un servizio ha un costo di 8000 euro e vogliamo aggiungerci un margine del 15% – sugli 8000 euro – otteniamo un margine di 1200 euro, ovvero un prezzo di 9200 euro, ma a fronte di un ricavo di 9200 euro il margine reale sarà di (9200-8000)/9000=13,3%!).

Sarebbe poi buona cosa determinare un margine di rischio su ogni voce che comprenda la probabilità di verificarsi di imprevisti che possano portare a far crescere (o diminuire) le singole voci di costo. Ciò rappresenta una soluzione migliore di quella di aggiungere una quota percentuale di imprevisti al costo finale calcolato, poiché per ogni servizio il rischio di imprevisti è diverso per ogni tipologia di costo.

Passiamo ora ad esaminare le singole tipologie e voci di costo sopra esposte al fine di costruire un foglio di calcolo che ci permetta di determinare il prezzo del servizio a partire dai costi ipotizzati e di effettuare delle analisi di tipo what if  ovvero di vedere come cambia il costo ed il prezzo del servizio al variare di diversi parametri.

I costi diretti del personale interno vengono determinati in base alle ore che si pensa di far lavorare alle singole risorse moltiplicate per il rispettivo costo orario. Trattandosi di personale interno, ovvero di dipendenti e/o di collaboratori con contratto continuativo (a prescindere dalla singola forma contrattuale si tratta di personale che l’impresa ha ingaggiato per un certo numero di giornate lavorative durante l’anno e che quindi è assimilabile ad un dipendente non a tempo pieno o quasi) Il calcolo di questa voce di costo è molto semplice. L’aleatorietà di tale elemento è data dal tempo che si presume impiegherà ogni singola risorsa, visto che il costo orario è molto preciso, fatti salvi eventuali incrementi (oppure, ahimè diminuzioni) di stipendio e rideterminazione a fine anno delle giornate effettivamente lavorate al netto eventuali assenze per malattie, permessi, ferie, ecc.. Tutti questi aspetti dovrebbero già emergere se l’impresa ha implementato un sistema di consuntivazione dei costi delle commesse o, perché no, un sistema di controllo di gestione sufficientemente evoluto; in ogni caso il calcolo del costo del servizio in fase di offerta è diverso dal calcolo del costo del servizio a consuntivo, quando – a posteriori – certe ipotesi iniziali sono state confermate o meno.

Si consideri, poi, che le risorse interne, ad es. i dipendenti, da un lato costituiscono un costo fisso, nel senso che rappresentano un costo che l’impresa deve comunque sostenere anche se non vengono saturate di lavoro, dall’altro costituiscono una capacità lavorativa finita, ovvero quando sono sature o il lavoro si posticipa o si ricorre a risorse esterne.

In fase di preventivazione talvolta non si sa quando la potenziale commessa verrà acquisita (a volte passano molti mesi prima di concludere l’accordo), pertanto i costi orari al momento di svolgimento del lavoro potrebbero essere variati ed anche le risorse potrebbero non essere più le stesse, sia perché potrebbero non essere più presenti, sia perché potrebbero essere indisponibili in quanto allocate su altri lavori. Di questo fatto bisogna tenere conto nella determinazione del preventivo dei costi diretti del personale interno: se ho poche risorse interne ed al momento dell’acquisizione ed inizio del lavoro non ho la disponibilità di coloro che avevo previsto in fase di offerta (fatto più probabile se le risorse interne sono esigue), potrei essere costretto ad appaltare a risorse esterne (ad es. professionisti esterni incaricati per l’occasione) alcune attività che avevo previsto di svolgere internamente. Questo potrebbe far lievitare i costi,

  • sia perché – a parità di capacità e competenze – normalmente il costo orario di un collaboratore esterno che assoldo per una commessa specifica per un certo numero di giornate è largamente superiore a quello di un dipendente,
  • sia perché la risorsa esterna potrebbe avere la necessità di essere addestrata-formata per svolgere il lavoro, generando ulteriori costi per il personale interno.

Naturalmente il margine di aleatorietà più elevato sta nella pianificazione dell’attività, ovvero nella determinazione delle attività da svolgere e del numero di giornate od ore necessarie per ciascuna di esse. Questa valutazione dipende molto dalle capacità tecniche di chi effettua questa stima; generalmente è consigliabile consultare responsabili tecnici o responsabili di commessa che conoscono bene quali sono le dinamiche di lavori simili e quali gli aspetti indeterminati. Occorre suddividere la potenziale commessa in fasi ed attività, magari utilizzando la tecnica WBS (Work Breakdown Structure). Consiglio anche di rivedere la pianificazione delle risorse ed il calcolo relativo con coloro che sono abituati a svolgere attività simili, perché spesso i vertici aziendali ed il personale orientato all’aspetto commerciale non conosce tempi e costi nascosti dell’operatività. Ovviamente quanto più si hanno a disposizione dati sufficientemente precisi su servizi simili, quanto più tale stima sarà attendibile. Per dati su servizi già svolti non intendo solamente tempi e costi rilevati, ma anche i cosiddetti Return of Experience (Ritorni di Esperienza), ovvero tutte quelle problematiche e possibili miglioramenti che sono emersi in servizi analoghi svolti in precedenza, magari per il medesimo committente o con la medesima tecnologia (ad es. nel caso di sviluppo software).

I costi diretti di collaboratori esterni richiedono maggiore attenzione perché per certe attività potrebbero essere determinati come per il personale interno moltiplicando una tariffa oraria o giornaliera per il tempo effettivamente impiegato per svolgere l’attività (costi a consuntivo), mentre per altre il costo è determinato in maniera forfettaria dal collaboratore esterno o professionista, previa offerta dello stesso (costo a forfait). Se in quest’ultimo caso il valore del costo a preventivo dovrebbe essere più preciso, occorre considerare che spesso non c’è la possibilità di richiedere un preventivo formale al fornitore, perché i tempi sono ristretti oppure perché non si hanno elementi sufficienti sul lavoro da svolgere affinché il fornitore sia in grado di formulare una stima dei propri costi forfettaria. Non escludiamo poi il fatto che l’impresa non voglia coinvolgere in questa fase il professionista esterno per non divulgare notizie sull’opportunità commerciale o perché non è in grado di definire a chi affidare parte del lavoro

In generale la ripartizione delle attività fra risorse interne e risorse esterne è un aspetto significativo della pianificazione del servizio al fine di redigere l’offerta: per certe attività il ricorso a collaboratori esterni è predefinito, se non si dispone di certe professionalità all’interno dell’organico (è il caso di alcuni specialisti per servizi di ingegneria o di programmatori in determinati ambienti di sviluppo software), mentre per altre la scelta fra personale interno od esterno dipende dalla disponibilità di risorse interne. Come già accennato in precedenza tale aspetto dipende dal periodo temporale in cui si svolgerà il servizio.

Il margine di incertezza nella pianificazione precisa dell’attività determina un fattore di rischio importante sia per i costi del personale interno, sia per quello del personale esterno, infatti attività aggiuntive ed una stima dei tempi di realizzazione del servizio sottostimata porteranno ad un maggior numero di ore impiegate per svolgere il servizio. Di conseguenza si avranno maggiori costi per il personale interno e generalmente anche per i collaboratori esterni laddove tali imprevisti non sono stati assorbiti da un’offerta forfettaria da parte del soggetto esterno. Tale eventualità è poco frequente, pertanto occorre analizzare attentamente le offerte dei professionisti o altri collaboratori esterni e ribaltare le medesime specifiche e limitazioni anche nella proposta tecnica al cliente, se possibile.

È appurato che quanto più il servizio si svolgerà secondo i canoni prefissati in offerta, tanto più il preventivo dei tempi e dei costi sarà azzeccato. A consuntivo è oltremodo utile esaminare tutti gli elementi che hanno portato a non rispettare i tempi ed i costi pianificati per il servizio (il già accennato Return of Experience previsto in alcuni schemi per la qualità del software come il CMMI), infatti una sottostima degli impegni delle risorse – spesso determinata dalla “voglia di prendere la commessa” – non è la sola causa di commesse con costi che hanno eroso gran parte del margine lordo; anche un servizio svolto in modo non efficiente porta spesso a consuntivare costi molto maggiori del previsto. Gli errori più frequenti commessi dai responsabili di commessa, project manager e direttori tecnici che portano ad impiegare maggior tempo del previsto sono i seguenti:

  • svolgere un servizio in modo “frettoloso” per concluderlo al più presto per la “smania di fatturare”;
  • affidare compiti importanti a personale non adeguatamente preparato a svolgerli senza fornire idonea formazione;
  • assegnare attività a personale non qualificato, benché meno costoso;
  • non documentare in modo adeguato tutte le specifiche- contrattuali e non – del servizio, non portando a conoscenza di tutto il gruppo di lavoro tutte le informazioni necessarie per il corretto svolgimento delle attività;
  • non riesaminare e verificare in modo adeguato i risultati intermedi delle attività, rischiando così di dover ripetere due volte attività svolte in modo non corretto (ad esempio sviluppo di moduli software);
  • gestire in modo inadeguato il rapporto con il cliente che, deve certamente essere soddisfatto, però non può influenzare negativamente l’efficienza del servizio con richieste non giustificate contrattualmente.

Nella stragrande maggioranza dei servizi oggetto del presente articolo il costo dei materiali impiegati per la realizzazione del servizio ed i servizi specifici acquistati costituisce una percentuale non significativa nel budget di commessa, ma in ogni caso vanno considerati tutti i costi straordinari per materiali di consumo e prodotti utilizzati solo per il servizio in oggetto. In questa categoria rientrano le licenze per software impiegato per lo sviluppo nell’ambito della commessa specifica di cui si sta formulando l’offerta, strumenti di misura e relative tarature straordinarie per il lavoro specifico, chiavi di protezione hardware, materiale di cancelleria in quantità non usuale, ecc.. Anche alcuni servizi specifici quali trasporti, fotocopie e stampe mediante plotter rientrano in questa categoria.

Le suddette voci di costo vanno debitamente considerate come costi del servizio e non attribuite alle spese generali al fine di un corretto calcolo dei costi del servizio, sia  preventivo che a consuntivo.

I costi per viaggi e trasferte (rimborsi chilometrici, biglietti ferroviari ed aerei, taxi, vitto e alloggio) possono essere stimati con ragionevole attendibilità, ma risentono fortemente dal numero di viaggi/uomo che si pensa di effettuare, a volte bastano una o due riunioni aggiuntive presso la sede del cliente con tutto o quasi il gruppo di lavoro per far sforare il preventivo di questa voce di percentuali considerevoli.

Spesso il cliente non accetta costi di trasferta a consuntivo e rimborsi a piè di lista, però bisogna evidenziare in offerta che parte dei compensi richiesti sono dovuti a viaggi e trasferte che vengono forfetizzati solo in termini di un determinato costo per giornata di presenza presso la sede del cliente per persona. Questo cautela il fornitore in determinati progetti di consulenza con un elevato numero di giornate di consulenza che possono essere svolte presso la sede del cliente o presso quella del fornitore (in back-office o da remoto). Infatti se il cliente sa che spenderà una certa somma in più per ogni giornata di consulenza per persona presso la propria sede probabilmente limiterà le richieste in tal senso al fine di contenere i costi.

In talune situazioni non sarà possibile od opportuno esplicitare in offerta le spese di trasferta a parte perché il committente, magari Pubblico, pretende un prezzo a corpo tutto comprese in un capitolato di gara, oppure perché si cerca di battere una concorrenza locale o comunque geograficamente molto più vicina alla sede del cliente.

Tra i costi indiretti e costi specifici attribuibili al servizio occorre includere parte delle ore del personale indiretto – ad esempio segreteria, sistemi informativi, qualità – che verranno specificatamente dedicate alla commessa. Il motivo per cui tali costi non vanno compresi nelle spese generali è che una loro equa ripartizione fra i vari servizi consente di confrontare in modo più attendibile i costi reali dei vari servizi. Per esemplificare questo aspetto consideriamo i due casi seguenti:

a)    una società di ingegneria nel settore delle costruzioni può svolgere servizi di progettazione di opere edili e servizi di direzione lavori. Mentre i primi utilizzano in modo intensivo software specifici (e costosi) per la progettazione (CAD, rendering, software di calcolo strutturale, ecc.), l’attività di Direzione Lavori impiega strumenti di misura e mezzi di trasporto per raggiungere i cantieri. Ne consegue che i costi indiretti sono molto diversi per le due tipologie di servizi.

b)   Una società di informatica che sviluppa software potrebbe avere due divisioni che realizzano prodotti di tipo differente per diversi tipi di clienti. Gli ambienti di sviluppo potrebbero essere molto diversi, richiedere in un caso l’acquisto e l’aggiornamento di software per lo sviluppo e relativo hardware per i test oppure l’impiego di software open source e PC tradizionali per il test.

Al di là delle suddette voci di costo, differenti per servizi di diverso tipo, occorre considerare l’utilizzo di prodotti e risorse specifiche per la commessa. Attenzione però a non conteggiare due volte i medesimi costi, sia come costi indiretti, sia come spese generali.

Infine dobbiamo considerare il margine di contribuzione comprensivo dell’utile d’impresa. Nell’ipotesi posta alla base della presente trattazione è necessario considerare una quota di copertura delle spese generali e l’utile lordo d’impresa.

Nella quota di copertura dei costi fissi o spese generali bisogna considerare due elementi importanti:

  • I costi commerciali della commessa;
  • I costi finanziari della commessa.

Nell’ottica di un’equa ripartizione dei costi commerciali fra tutti i servizi, occorre ad esempio tener presente che acquisire un lavoro pubblico tramite una gara pubblica è ben più oneroso che acquisire una commessa privata mediante un’offerta tecnico-economica senza oneri burocratici.

Per quanto riguarda i costi finanziari, essi talvolta dovrebbero addirittura essere esplicitati nel calcolo del preventivo, in quanto servizi di elevato importo economico con termini di pagamento particolarmente penalizzanti per il fornitore, specie nel caso di committente pubblico; essi, infatti, potrebbero mettere in difficoltà la struttura finanziaria della nostra piccola impresa. A volte è necessario ricorrere a finanziamenti ad hoc per poter realizzare il servizio e questo ha un costo per la società, questo talvolta può costituire un ostacolo quasi insormontabile.

Questo aspetto spesso non viene considerato nel calcolo del preventivo, ma se i pagamenti del committente ritardano (cosa molto frequente di questi tempi) la nostra piccola impresa deve comunque assolvere ai propri impegni nei confronti dei dipendenti (ovvero pagare gli stipendi regolarmente) e dei collaboratori e professionisti esterni. Anche per questi ultimi, infatti, la pratica di saldare le loro competenze, anziché ad avanzamento del lavoro svolto, al momento dei pagamenti da parte del cliente finale, porta ad effetti negativi quali, ad esempio:

  • Scarsa motivazione nello svolgimento delle attività (il professionista preferisce svolgere prima altri lavori per i quali i termini di pagamento sono regolari);
  • Esposizione a possibili contenziosi nei quali la forza contrattuale è dalla parte del collaboratore esterno (i termini di pagamento non possono essere vincolati ai pagamenti del cliente finale);
  • Rischio di perdere il collaboratore esterno, già durante lo svolgimento della commessa o per futuri incarichi, visto che egli può ritenere, a ragione, che nel margine applicato sulla sua prestazione nella determinazione del prezzo al cliente finale è compreso il rischio di insolvenza o di ritardato pagamento del committente, come da prassi consolidata in moltissimi rapporti di consulenza. Con margini normalmente del 100% è difficile sostenere altrimenti.

In conclusione, per evitare maggiori costi in fase di realizzazione della commessa, è necessario valutare attentamente questi oneri aggiuntivi, che se ignorati porteranno solo problemi più avanti.

A questo punto il nostro foglio di calcolo per la determinazione del prezzo per il servizio ha tutti gli elementi, senza dimenticare di considerare – per determinate voci di costi particolarmente incerte – un margine di incertezza (costo minimo – massimo) che ci consentirà di calcolare il costo presunto del servizio, o meglio un range di valori all’interno del quale si colloca, con elevata probabilità, il costo del servizio.

Terminati i calcoli il prezzo d’offerta può essere rifinito con considerazioni commerciali, sconti su determinate condizioni, ecc.. Comunque ogni ulteriore modifica del prezzo è fatta a ragion veduta e fa parte del rischio, calcolato, d’impresa.

La scelta di abbassare i prezzi oltre il dovuto al fine di saturare risorse interne che attualmente stanno lavorando poco può valere fino ad un certo punto, va ponderata di caso in caso e, soprattutto non bisogna ribaltare sul personale che svolgerà il servizio le scelte di lavorare sottocosto pretendendo prestazioni impossibili dal proprio personale, rischiando di ottenere effetti controproducenti in termini di motivazione delle persone.

Anche l’esposizione corretta, precisa e trasparente dei prezzi in offerta costituisce un aspetto significativo che può far scegliere al cliente la nostra offerta rispetto a quella di un concorrente, magari più economica.

Poiché al giorno d’oggi, anche a causa della crisi, molti pensano – anche a ragione – che “tutti cercano di fregarti”, occorre prestare particolare attenzione ad un’illustrazione dei costi chiara e non ambigua, che potrebbe generare diffidenza nel committente. Ricordatevi di mettervi nei panni del vostro cliente, che potrebbe anche non conoscere a fondo la materia di cui state trattando in offerta, ma che apprezzerà più facilmente un’offerta superiore ad un’altra se ben motivata.

Purtroppo l’ingenuità di molti imprenditori e responsabili commerciali nel descrivere il proprio servizio come il migliore in assoluto, e pure il più economico, potrebbe portare effetti negativi con il cliente. A differenza dei prodotti manifatturieri, dove lo stesso identico prodotto può essere acquistato ad un prezzo inferiore senza grandi penalizzazioni dal punto di vista qualitativo (il rischio è quello di avere un tasso di difettosità maggiore di cui comunque risponde il fornitore), nel campo dei servizi il prezzo è un elemento meno importante, soprattutto per servizi molto articolati e complessi. Infatti il cliente deve capire quali prestazioni sono comprese nel prezzo e quali no.

La richiesta di molti committenti di avere offerte forfettarie, soprattutto nel campo della consulenza, espone al rischio di avere un servizio certamente ad un prezzo stabilito, ma molto “modello base”. Viceversa l’esplicitazione del numero di giornate di consulenza previste in offerta espone il cliente al rischio di dover pagare costi aggiuntivi all’esaurimento delle giornate pattuite.

È evidente, infine, che il cliente deve riuscire a capire che un servizio professionale non può costare, come tariffa oraria, come un’ora di un idraulico che è venuto ad aggiustarci il lavandino a casa, magari anche senza fattura! Quindi, nei casi di offerte con prezzi straordinariamente bass,i il cliente sarà giustamente sospettoso e se la nostra offerta è più elevata, ma molto trasparente, gli faremo aumentare i sospetti sulla concorrenza.

Qualche considerazione aggiuntiva sul caso di appalti pubblici assegnati tramite bandi di gara.

Qui, purtroppo, ci scontriamo con l’inefficienza della Pubblica Amministrazione e, spesso, anche con l’incompetenza (talvolta anche la corruzione) delle persone che preparano i bandi di gara e giudicano le offerte. Premesso ciò le offerte al massimo ribasso sono inevitabilmente un gioco al massacro, soprattutto nel settore dei servizi dove i prezzi medi non sono stabiliti correttamente.

Premesso ciò occorre precisare che le offerte straordinariamente basse spesso devono essere giustificate con calcoli analitici e motivazioni attendibili. Dunque prepariamoci a formulare un’offerta che sia poi giustificabile anche economicamente. Addirittura taluni bandi richiedono l’esplicitazione dei costi analitica, seguendo un metodo predefinito, anche in fase di gara per tutti i concorrenti. Naturalmente chi ha l’abitudine di sviluppare preventivi completi e coerenti è avvantaggiato.

Laddove la pubblica amministrazione richiede numerosi giustificativi per i costi offerti, allo scopo di individuare offerte anormalmente basse, è ovviamente più difficile, ma non impossibile, barare. Se, infatti, i costi orari del personale dipendente non sono ritocabbili a seconda delle necessità (ci sono registrazioni contabili che li attestano), per quanto riguarda i costi del personale esterno un po’ più di attenzione – e di competenza economica – da parte delle commissioni aggiudicatrici dovrebbe permettere di scoprire bugie colossali e costi orari insostenibili.

Viceversa riguardo alle giornate lavorative previste per il servizio, il committente intelligente dovrebbe sapere che – a parità di competenze e capacità personali – il medesimo lavoro non può essere svolto con la medesima qualità da due persone diverse in tempi sensibilmente differenti.

Per il resto nelle offerte tecnico-economiche per le Pubbliche Amministrazioni valgono le stesse regole che nel settore privato, con qualche vincolo in più in termini di struttura, rispondenza ad un capitolato e di lunghezza del testo. Inoltre difficilmente il prezzo potrà essere ricontrattato salvo casi particolari, dunque occorre pensarci bene a formulare prezzi troppo bassi sui quali non si potrà più trattare.




Il consuntivo delle ore del personale

RiunionePerchè è importante che determinate organizzazioni di servizi che operano su commessa si dotino di un sistema di consuntivazione delle ore e delle spese vive del personale adeguato, preciso, ma non eccessivamente oneroso per chi registra i dati?

 

Cos’è il consuntivo ore

Il consuntivo delle ore svolte dal personale interno o esterno (consulenti) o timesheet è uno strumento istituzionalizzato da molte organizzazioni che operano nel settore dei servizi (società di informatica, società e studi di ingegneria, società di consulenza, studi professionali, fornitori di servizi di assistenza tecnica, studi grafici, ecc.) per contabilizzare come viene speso il tempo del personale, che costituisce la principale voce di costo per tali organizzazioni che spesso lavorano “su commessa”.

Per effettuare un buon controllo di gestione delle commesse e, quindi, dell’intero business occorre consuntivare con una certa precisione tutte le ore lavorate da personale interno e collaboratori esterni sulla commessa. La frequenza di consuntivazione deve essere definita in funzione della durata delle commesse e dalle caratteristiche del lavoro svolto.

Oltre alle ore svolte dal personale è opportuno consuntivare con precisione anche i costi di trasferta legati all’attività (trasporti, vitto, alloggio, rimborsi chilometrici, ecc.), al fine di imputare alle commesse di competenza, ed eventualmente al cliente, ogni costo sostenuto per quell’attività.

Nel corso degli anni il consuntivo ha assunto varie forme nelle diverse realtà aziendali, passando da una compilazione completamente cartacea al formato di foglio elettronico o, nelle organizzazioni più strutturate e tecnologicamente avanzate, all’inserimento dei dati direttamente in un sistema informatico dedicato.

Infine esiste un aspetto minimale e cogente della consuntivazione dell’attività lavorativa: la rilevazione delle presenze e delle ore lavorate (e non lavorate) dal personale dipendente e dei collaboratori a progetto. Tali dati, infatti, sono essenziali per la preparazione della busta paga, a cura dell’Ufficio Personale interno oppure – più frequentemente nelle piccole organizzazioni – dello Studio di Consulenza sul Lavoro esterno.

Aspetti critici della consuntivazione

Sulla precisione e la costanza nella compilazione del timesheet hanno grande influenza aspetti psicologici e motivazionali: spesso il personale, se non adeguatamente motivato, non consuntiva tempestivamente, con precisione ed in modo completo il lavoro svolto.

I principali punti critici che compromettono un’adeguata consuntivazione delle attività possono essere così riassunti:

  • il personale non ha voglia di dedicare tempo alla consuntivazione;
  • il personale interno crede che la consuntivazione sia mirata a controllare i tempi di completamento delle attività assegnate;
  • lo svolgimento delle attività prevalentemente presso i clienti non lascia molto tempo al personale per effettuare la consuntivazione;
  • le eccessive pressioni da parte della direzione sulla consuntivazione frequente (ad esempio settimanale) con scadenze pressanti (ad esempio verso fine mese o fine anno) provoca nel personale una certa resistenza alla consuntivazione.
  • la consuntivazione delle sole attività fatturabili non mette il personale nelle condizioni migliori per una consuntivazione precisa delle ore.

Gli aspetti psicologici legati alla consuntivazione delle ore del personale devono essere accuratamente gestiti dal personale responsabile (Direzione, Project Manager, Direttori di funzione), incentivando la consuntivazione attraverso strumenti che facciano perdere il minor tempo possibile al personale e, soprattutto, attraverso l’esempio. Ciò significa che se un manager o responsabile di alto livello non inserisce sistematicamente e con precisione le ore nel sistema informativo o timesheet, difficilmente il personale subordinato sarà incentivato a farlo, oltre al danno di non avere una registrazione corretta per le ore svolte da persone di alto livello gerarchico e, quindi, dai costi orari presumibilmente elevati.

Errori dovuti a disattenzione o comunicazioni errate sono poi all’ordine del giorno, con conseguenti costi per correzioni di documenti, anche ufficiali, come buste paga e fatture al cliente. Molti errori sono evitabili con controlli e “quadrature” automatiche e riducendo al minimo le ridigitazioni da parte di persone diverse (Ufficio Personale, Studio Paghe, Segreteria,…).

La verifica della corretta “quadratura” dei dati comunicati dal personale, o inseriti nel sistema informatico, è un’attività fondamentale se si vogliono ottenere risultati attendibili. La maggior parte del lavoro potrà essere demandata al sistema informatico, che dovrà implementare delle regole di convalida che permettano di riconoscere gli errori di inserimento, anche se una verifica di una “testa pensante” sarà comunque necessaria, almeno per il periodo di avviamento del sistema di controllo di gestione, al fine di riscontrare che i dati inseriti siano congruenti con le regole stabilite.

Tali regole comprenderanno essenzialmente:

  • l’orario lavorativo per il personale (dovrà essere considerato un monte ore giornaliero/settimanale differente per i lavoratori part-time, la possibilità di inserire straordinario solo se retribuito, le festività ed i giorni di chiusura aziendale);
  • la possibilità di imputare ore solo per le commesse alle quali si è abilitati che siano ancora aperte;
  • l’inserimento coerente delle ore per attività comuni a più persone (corsi, riunioni, ecc.).

In caso di errori i dati dovranno essere corretti dal personale coinvolto, altrimenti i risultati delle elaborazioni e del reporting saranno poco significativi. Quest’aspetto è molto importante e non va trascurato da parte della Direzione e di chi conduce il progetto: basta infatti che un solo collaboratore non comunichi i dati di consuntivo coerenti e con tempestività per rendere aleatorio il reporting mensile ed in certi casi anche quello annuale!

Il contesto ideale

Volendo eliminare tutte le inefficienze del processo di consuntivazione, sia quelle dovute a dati imprecisi per errori materiali di digitazione o dovuti a scarsa attenzione nell’inserimento dati, sia quelli dovuti allo svolgimento di attività non a valore aggiunto (ri-digitazione dei dati in diversi sistemi acquisendoli da comunicazioni via e-mail, dati registrati su supporto cartaceo, ecc.), occorre progettare accuratamente tutto il processo che, evidentemente, potrebbe possedere peculiarità specifiche in ogni realtà aziendale.

Il sistema informativo ideale, costituito da applicazioni software ben progettate e da informazioni inserite secondo modalità ottimali, riducendo al minimo le ridondanze di informazioni in diversi sistemi, dovrebbe garantire le seguenti funzionalità:

  1. Database centralizzato attraverso il quale sono gestite le informazioni relative agli utenti del sistema, alle risorse, alle commesse/progetti (scomponibili in sottoprogetti/attività), ai clienti, alle sedi di lavoro, al calendario associato alle risorse, alle assegnazioni delle risorse ai progetti/commesse, alle ore consuntivate per giorno (con possibile gestione di diverse tipologie quali lavoro ordinario, straordinario, festivo, ecc.) ed alle relative spese di trasferta associate.
  2. Operatività via web per poter inserire il consuntivo ore e nota spese anche – e soprattutto – fuori sede con frequenza maggiore per garantire una consuntivazione più precisa.
  3. Data-entry user-friendly che consenta inserimenti rapidi di dati per singolo giorno, ma anche per lunghi periodi (ad esempio per inserire periodi di malattia e ferie in pochi clic).
  4. Possibilità di inserire dati anche per risorse diverse dall’utente collegato, garantendo comunque il rispetto della privacy (ad esempio una segretaria che inserisce il consuntivo e la nota spese per il Direttore di Area o Funziona).
  5. Funzioni di controllo/quadratura per prevenire errori.
  6. Reporting e query dettagliati su richiesta per agevolare la contabilizzazione dei dati ed il controllo di gestione della commessa/progetto.
  7. Interfacciamento con gli applicativi delle Paghe, interni o presso lo Studio di Consulenza del Lavoro esterno, per eliminare ridigitazioni inutili.
  8. Opzione di gestione, eventualmente tramite applicativo esterno, dei costi delle risorse associandovi tariffe/costi orari.
  9. Possibilità di pianificare l’impegno del personale sulle commesse/progetti per effettuare successive analisi degli scostamenti fra impegno previsto/impegno consuntivato.
  10. Garanzia di sicurezza dei dati nel pieno rispetto del Codice della Privacy riguardo alla tutela dei dati sensibili.

Vantaggi e riduzione dei costi

Una soluzione come sopra descritto permetterebbe ad una piccola organizzazione di servizi di ottenere alcuni miglioramenti e riduzione di costi operativi:

  • Maggior precisione dei dati di consuntivazione delle attività e delle note spese per un controllo di gestione più tempestivo ed accurato;
  • Risparmio di tempo per l’inserimento dati da parte del personale che, quindi, può dedicare maggior tempo alle attività di business;
  • Risparmio di tempo per correzione di errori da parte del personale addetto al controllo della consuntivazione;
  • Rendicontazione più accurata e trasparente delle attività svolte per il cliente e fatturate al medesimo;
  • Ottenimento di possibili sconti da parte dello Studio esterno che effettua le buste paga grazie alla fornitura di dati già importabili nel loro software e/o risparmio di tempo da parte dell’Ufficio Personale interno nell’inserimento dei dati dal consuntivo nell’applicativo per la gestione del personale.

Organizzazioni interessate

Il consuntivo ore e nota spese del personale viene adottato – in forme diverse che vanno, come indicato in precedenza, dal timesheet cartaceo compilato a mano alla serie di fogli elettronici collegati fra loro – da molte organizzazioni di servizi, anche di piccole dimensioni; però molte altre organizzazioni dovrebbero o vorrebbero attivarlo, tuttavia sono frenati dall’eccessivo onere che comporta l’inserimento dati e la relativa gestione.

Tra le prime e le seconde possiamo individuare le seguenti organizzazioni:

  • Società di informatica (progettazione, sviluppo, installazione ed assistenza software);
  • Società e Studi di Ingegneria ed Architettura;
  • Studi Professionali in genere: Commercialisti, Studi Legali e Notarili, ecc.;
  • Studi Tecnici industriali;
  • Società di Consulenza;
  • Organismi di Certificazione ed Ispezione;
  • Società che svolgono servizi di assistenza on-site e da remoto su apparecchiature di elevato valore (hardware ICT, macchine di produzione, ecc.);
  • Studi Grafici e Pubblicitari;
  • Agenzie di Comunicazione;
  • Web Designer;

ed altri che svolgono attività prevalentemente intellettuale su commessa/progetto per diversi clienti, con i costi delle risorse umane che costituiscono voce prevalente nel conto economico.

Consulta anche https://studio.dicrosta.it/wordpress/news/presentazione-del-libro-il-controllo-di-gestione-nelle-imprese-di-servizi-su-commessa
 



Come uscire dal tunnel e salvare l’azienda?

Oggi molti imprenditori non sanno cosa fare per salvare la propria azienda che sta progressivamente perdendo fatturato, ma cosa hanno fatto finora?

Negli ultimi anni, da quando la crisi economica e finanziaria ha investito il nostro Paese più di altri, molte imprese hanno affrontato il problema proprio come lo ha affrontato il Governo Monti: rigore e tagli alle spese! Sembra che Governo e Imprese da una parte si scontrino perché queste ultime vorrebbero maggiori iniziative per lo sviluppo ed il Governo sta dando solo qualche “contentino”, mentre dall’altra parte si stanno comportando alla stessa maniera.Gli elementi che hanno provocato la crisi sono molteplici ed alcuni poco controllabili, chi avesse seguito la trasmissione SuperQuark di venerdì 7/12 (ancora disponibile sul sito web della RAI) avrà avuto l’occasione di apprendere in modo chiaro e semplice perché siamo dentro al tunnel della crisi. Se alcuni Paesi stanno crescendo più di noi (che siamo in piena recessione) ci sono ragioni sulle quali non possiamo influire – quali ad esempio la crescita demografica e le ricchezze del territorio – ed altre per le quali è colpevole la classe dirigente degli ultimi trent’anni e forse più. Nella classe dirigente sono compresi sia la classe politica ed i governi che si sono succeduti in questo lasso di tempo, sia chi ha creato e diretto le imprese italiane.

Ora è difficile recuperare in tempi brevi quanto si è perso a causa della corruzione, dell’inefficienza della Pubblica Amministrazione, della sottrazione di fondi pubblici da parte di appartenenti a vari partiti, dall’evasione fiscale e così via. Qualcosa si stava cercando di fare negli ultimi tempi, ma non basta.

Con queste premesse i margini per risollevarsi delle imprese italiane, prevalentemente piccole e medie imprese, sono ristretti. Da un lato si può sperare (e pretendere) non solo in riforme che ci allineino ai Paesi più virtuosi, non solo in tema di pareggio di bilancio, ma di rispetto delle regole e di equità, oltre che di investimenti per lo sviluppo da parte dello Stato. Dall’altro le imprese devono fare molto per essere più efficienti e tecnologicamente innovative e quindi guadagnare competitività a livello internazionale rispetto a chi ci precede.

Così come il solo taglio delle spese – comprese quelle per lo sviluppo, la ricerca, l’innovazione e la formazione – non potrà portarci da nessuna parte a livello di Paese, anche nelle imprese industriali e dei servizi tagliare il più possibile i costi può solo consentire (forse) di salvare il pareggio di bilancio oggi che cala il fatturato. Ma questi interventi non permetteranno di far crescere i ricavi domani, quando avremo perso ancor di più competitività, a causa delle maggiori inefficienze che avremo introdotto con i tagli alle spese ed agli investimenti, soprattutto in innovazione tecnologica di prodotto e di processo, ed a causa della demotivazione di personale poco formato.

Oggi è frequente vedere imprese che – a fronte di un brusco calo di fatturato – hanno le risorse sottodimensionate dalla ricerca di riduzione dei costi variabili e fissi per compensare i costi fissi elevati. Questo avviene sottraendo ancor più tempo all’organizzazione, o meglio alla riorganizzazione interna, necessaria per migliorare l’efficienza e, dunque abbattere in modo duraturo i costi variabili e quelli fissi.

In questo contesto molti piani di risanamento delle imprese falliscono miseramente perché non solo non portano ad un aumento delle vendite e dei ricavi, ma nemmeno riescono a frenare il calo del fatturato e, quindi, i finanziamenti richiesti alle banche o ad altri soggetti non producono “leva finanziaria”, ovvero non generano utile a tassi maggiori rispetto a quelli degli interessi del debito contratto.

D’altro canto molte piccole imprese (numericamente oltre il 90% del totale delle imprese, in percentuale maggiore rispetto agli altri Paesi guida europei) non hanno soldi nel vero senso della parola, ovvero oltre che della crisi economica, soffrono anche di profonda crisi finanziaria: il cash flow è ridotto al minimo, i clienti tardano a pagare (specie se Pubblici) e le Banche richiedono tassi elevati per finanziare l’attività dell’Impresa. Alcune imprese cercano investitori che non ci sono, del resto chi investirebbe in imprese dal fatturato in calo, poco efficienti, poco capitalizzate, senza “asset intangibili” di particolare valore (il know-how è nella testa delle persone, molte delle quali demotivate, e le risorse tecnologiche sono scarse e spesso mal impiegate da personale poco formato). Le condizioni al contorno (criminalità organizzata, corruzione, lentezza della Giustizia, costo dell’energia, difficoltà a far rispettare le regole, difficoltà nell’accesso al credito, burocrazia, ecc.) poi non favoriscono certo l’attrattiva agli investimenti delle imprese del nostro Paese.

Ma allora che fare? La ricetta vincente non esiste, ogni impresa fa storia a sé, se non altro perché ha un suo mercato ed è costituita di persone diverse dalle altre. Quello che a mio modo di vedere sarebbe importante fare è analizzare l’impresa da cima a fondo ed identificare le possibili aree di miglioramento che sicuramente ci saranno, bisogna sapere cosa si è disposti ad investire. Talvolta è necessario cambiare mentalità all’imprenditore o ai dirigenti/responsabili di primo livello per convincerli ad affrontare la crisi in modo diverso ed a dedicare tempo non solo a portare avanti le attività ordinarie (fare offerte, concludere le commesse di produzione o di servizio, consegnare i prodotti ed erogare i servizi), ma anche quelle straordinarie a cui non si è mai dedicato tempo finora: analizzare i processi ed identificare le relative inefficienze, eliminare attività non a valore aggiunto, ascoltare le esigenze del personale per risolvere i problemi, analizzare i sistemi informativi per migliorarli per rendere i processi più efficaci (ridurre i tempi delle attività e diminuire gli errori) ed efficienti (impiegare minor tempo delle risorse umane per svolgere la medesima attività), pensare all’innovazione dei prodotti e dei processi, cercare di migliorare la qualità del prodotto, motivare le risorse umane. Questo potrebbe essere più difficile che trovare finanziatori, ogni imprenditore vuole fare di testa sua: è questo uno dei motivi perché abbiamo tantissime piccole e microimprese, molte di più di tedeschi, inglesi e paesi nordici…perchè “piccolo non è bello”, più che altro è poco efficiente. Infatti nelle piccole imprese il personale è mediamente meno competente (dove per competente si intende un mix di istruzione scolastica, formazione professionale ed addestramento, esperienza lavorativa, conoscenze tecniche ed organizzative, capacità/abilità a svolgere determinati compiti), soprattutto relativamente all’utilizzo di sistemi informatici. Anche l’innovazione tecnologica, principalmente costituita dai sistemi informatici, nelle piccole imprese è di livello inferiore rispetto alle medio-grandi imprese. E tutto ciò si paga in termini di efficienza e quindi di maggiori tempi e costi per completare le attività ordinarie.

Allora la crisi della piccola impresa può essere affrontata cercando di dotarsi di strutture, organizzazione e tecnologie da grande impresa, visto che oggi i processi della piccola impresa non sono – come dicono alcuni piccoli imprenditori – più snelli di quelli della grande impresa e per questo più competitivi. Questo era forse vero un tempo, quando la maggior parte dei costi e del valore dell’impresa era concentrata sui materiali e sul processo produttivo (macchine, impianti e manodopera poco qualificata). Oggi, a parità di costi di materiali e manodopera,  la differenza la fa la competenza delle risorse umane ed i sistemi informatici, molto più importanti che un tempo, che permettono di svolgere le attività – magari non primarie, ma comunque costose – in tempi inferiori e meglio (con un prodotto di qualità migliore).

Ma se da un lato bisognerebbe investire di più in ricerca ed innovazione tecnologica per garantirsi un futuro migliore (in certi casi solo un futuro), dall’altro gli strumenti per uscire dal tunnel e salvare l’azienda sono metodi già noti da anni. Parlare di sistemi di gestione qualità, business process reengineering, controllo di gestione, KPI, balance scorecard, valutazione e motivazione delle risorse umane e di tanti altri sistemi per “fare le cose meglio” non è certo una novità, lo è invece applicarli nel modo corretto con una Direzione che ci crede perché crede nel cambiamento.




Le Balanced Scorcard: l’anello di congiunzione fra Sistema Qualità e Controllo di Gestione

I Principi delle Balanced Scorecard
Le Balanced Scorecard hanno origine nel 1992 attraverso un articolo pubblicato sulla Harvard Business Review da Robert Kaplan e David Norton (“The Balanced Scorecard. The measure that drive performance”).
Le Balanced Scorecard rappresentano una metodologia di controllo strategico utilizzata in una organizzazione per documentare, comunicare, attuare e gestire la strategia di tutta l’organizzazione allo scopo di tradurre missioni e strategie in un insieme completo e bilanciato di indicatori di misura delle prestazioni.
Si tratta di un nuovo sistema di gestione dell’azienda finalizzato a misurare l’effettivo raggiungimento della strategia dell’organizzazione e degli obiettivi da essa derivanti. Questa metodologia permette di impostare un insieme di indicatori di misura intorno ai quali implementare un sistema di controllo direzionale veramente efficace.
L’idea nasce dal fatto che gli indicatori economici e finanziari sono indicatori ex post che forniscono informazioni relative ad azioni che sono state già realizzate. Pertanto occorre identificare un set di indicatori che permetta di monitorare l’organizzazione da diverse prospettive, ma soprattutto che scaturisca dalla strategia definita dal management e dagli obiettivi che ne derivano.
Il “bilanciamento” degli indicatori nasce per evitare che i buoni risultati di un settore di attività, di una divisione o di una funzione possano trasformarsi in danni per altri settori/divisioni/funzioni.
La Balanced Scorecard, sia chiaro, non è costituita soltanto dalla definizione e dal monitoraggio di alcuni indicatori, ma è una vera metodologia di governo dell’azienda che  “riordina” gli indicatori, con l’obiettivo di integrarli e “bilanciarli”, ossia di definire le connessioni logiche esistenti tra di essi in modo da conoscere in anticipo quali riflessi una determinata azione avrà sull’intera gestione aziendale.
Le Balanced Scorecard prevedono di analizzare i risultati dall’azienda sulla base di quattro dimensioni rilevanti:

  1. la prospettiva della performance economica finanziaria, che pone in relazione i risultati ottenuti dall’azienda con le aspettative di profitto degli azionisti;
  2. la prospettiva del cliente, che fa riferimento alla necessità di orientare l’attività svolta alla soddisfazione delle esigenze da questo manifestate allo scopo di differenziarsi dalla concorrenza;
  3. la prospettiva della gestione dei processi, diretta all’ individuazione dei fattori critici di successo per la soddisfazione dei clienti e degli azionisti e di conseguenza delle iniziative operative di miglioramento per il raggiungimento degli obiettivi ai vari livelli aziendali;
  4. la prospettiva di innovazione ed apprendimento, strettamente connessa alla innovazione di processo e all’apprendimento che consentono uno sviluppo globale dell’organizzazione in termini di: capacità e competenze del personale, motivazione, responsabilizzazione e coinvolgimento del personale, sistema informativo.

Appare evidente lo stretto legame con i sistemi di gestione per la qualità ISO 9000 che richiedono la definizione di indicatori almeno per le prospettive 2 e 3.
Responsabilità della direzione: I principi delle ISO 9000
Per quanto detto sono evidenti le similitudini con i sistemi di gestione per la qualità secondo la norma UNI EN ISO 9001:2008: è necessario definire una politica aziendale per la qualità e quindi tradurla in obiettivi, che dovranno essere monitorati attraverso appositi indicatori.
Secondo la ISO 9001 la Direzione (o meglio l’alta Direzione) deve stabilire la politica per la qualità, la quale, tra l’altro, dovrà prevedere un quadro strutturale per definire e riesaminare gli obiettivi per la qualità.
È necessario che la politica per la qualità dell’organizzazione, per essere coerente con gli obiettivi aziendali e con le esigenze e le aspettative dei propri clienti, sia parte integrante della pianificazione strategica del business dell’azienda. Essa dovrebbe essere pianificata attraverso un processo integrato, sistematico e rigoroso, in modo tale da creare valore sia per il cliente che per l’organizzazione stessa.
La politica per la qualità concorre, insieme con gli obiettivi, gli indirizzi e gli impegni per la qualità dell’organizzazione, a fornire gli elementi per la pianificazione della qualità allo scopo di raggiungere tali obiettivi.
Gli obiettivi per la qualità, inclusi quelli necessari per ottemperare ai requisiti di prodotto, devono essere definiti dalla Direzione per ciascuna funzione e livello dell’organizzazione ed assegnati in modo chiaro e documentato.
Gli obiettivi per la qualità devono essere misurabili e coerenti con la politica per la qualità e, più in generale con le politiche e strategie aziendali.
La linea guida ACCREDIA sulla ISO 9001, rivolta soprattutto agli auditor degli Organismi di certificazione, al riguardo (con riferimento al paragrafo 5.4.1 della norma) ci fa notare che: “l’eccessiva separazione tra obiettivi per la qualità ed obiettivi “classici” aziendali può essere indice di un approccio formale e inadeguato alla qualità”.
Gli obiettivi della politica dovranno essere trasformati in indicatori misurabili e monitorati costantemente.
Nella definizione degli obiettivi, che derivano dalla politica per la qualità, dovrebbero essere individuati e considerati i fattori chiave di successo dell’azienda, ossia quegli aspetti attraverso cui l’azienda deve competere sul mercato. Il procedimento dovrebbe proseguire nell’individuazione di indicatori che esprimono quanto l’organizzazione abbia raggiunto gli obiettivi strategici, quelli di processo e quelli delle singole attività.
È quindi necessario stabilire un insieme omogeneo di indicatori della qualità, un prospetto o quadro di gestione della qualità (si veda UNI 11097:2003 – Indicatori e quadri di gestione della qualità). Per ognuno degli indicatori identificati occorre stabilire formula di calcolo, modalità di raccolta dati (responsabilità, strumenti, periodicità, procedimento) ed obiettivo da perseguire.
Per la suddetta normativa l’indicatore della qualità è una “informazione qualitativa e/o quantitativa associata ad un fenomeno (oppure ad un processo o ad un risultato) sotto osservazione, che consente di valutare le modificazioni di quest’ultimo nel tempo, nonché di verificare il conseguimento degli obiettivi per la qualità prefissati, al fine di consentire la corretta assunzione delle decisioni e delle scelte”. Mentre invece un indice è un “dato, esprimibile anche in termini percentuali, che può essere definito da un rapporto tra i valori numerici di due o più grandezze o misure oggettive di parametri”. Dunque occorre fare attenzione nell’utilizzare i due termini che non sono sinonimi: l’informazione che rappresenta l’indicatore potrebbe essere costituita da un indice, ma anche da informazioni di altro tipo (ad es. qualitativo)!
La Direzione deve poi assicurarsi che le attività e le risorse necessarie per il conseguimento degli obiettivi per la qualità, siano adeguatamente individuate e pianificate.
La prospettiva economica – finanziaria
Secondo la teoria delle Balanced Scorecard la prospettiva economico-finanziaria analizza i risultati realizzati in relazione alla strategia dell’azienda in termini finanziari. Gli indicatori considerati sono generalmente i seguenti:
Lo Shareholder Value Approach, in cui la determinazione del “valore azionario” è dato dalla differenza tra le Passività e il Capitale Netto, mentre il “valore societario” è dato dalla somma tra passività e valore azionario. Il valore azionario, ossia il valore dell’azienda per gli azionisti, è rappresentato dalla differenza tra il valore societario, determinato sulla base della stima dei flussi di cassa dati dalla differenza tra le entrate e le uscite previste negli esercizi futuri (Discounted Cash Flow: flussi di cassa futuri scontati), e le Passività aziendali, desumibili dallo Stato Patrimoniale.
L’Economic Value Added è una metodologia basata sul confronto del ritorno del capitale investito in azienda con il costo dei fattori che lo hanno generato. L’EVA consente di capire se il management sia in grado di produrre profitti superiori rispetto al rendimento che il capitale investito in azienda produrrebbe se fosse investito in attività rischiose.
EVA= NOPAT – (WACC * C)
Dove: NOPAT = Net Operating Profit After operating Taxes (Utile operativo netto dopo le imposte operative), WACC = Weighted Averange Cost of Capital (Costo medio ponderato del capitale), l C= Net Invested Capital (Capitale investito netto).
Il ROI (Return On Investment), dato dal rapporto tra il reddito operativo lordo della gestione caratteristica e il capitale investito. Esso esprime la percentuale di redditività operativa, ossia il rendimento offerto dal capitale investito nell’attività tipica aziendale
Il ROE (Return On Equity), dato dal rapporto tra utile d’esercizio ed il capitale proprio, quest’ultimo ottenuto escludendo dal patrimonio netto l’utile d’esercizio. Il risultato indica la redditività del capitale di rischio, cioè dei mezzi impiegati dai soci o dal proprietario in azienda.
Il ROS (Return On Sales), dato dal rapporto tra reddito operativo lordo della gestione caratteristica e ricavi netti di vendita. Il tasso esprime la redditività delle vendite indicando quanto residua dopo la copertura di tutti i costi della gestione caratteristica.
Gli indici sopra riportati (qui si tratta proprio di indicatori rappresentati da indici!) sono tipicamente utilizzati in organizzazioni di medio grandi dimensioni, ma raramente inseriti nell’ambito di un sistema di gestione per la qualità che tratta, invece, altri indicatori.
Anche nell’ambito di un sistema di gestione per la qualità – che è soprattutto “un Sistema di Gestione” dell’organizzazione – l’attenzione dovrebbe essere rivolta anche verso indicatori di tipo economico-finanziario, indispensabili per la sopravvivenza dell’impresa, ma non sufficienti a misurare in modo completo le performance aziendali.
La prospettiva del cliente
Le organizzazioni che operano in regime di libera concorrenza non possono prescindere da fornire un prodotto o servizio che soddisfi le esigenze del cliente, anche se fossero soltanto quelle di un prodotto di basso costo e di qualità almeno sufficiente.
Per “soddisfazione del cliente” la UNI EN ISO 9000 (paragrafo 3.1.4) intende la “percezione del cliente su quanto i suoi requisiti siano stati soddisfatti”; dunque essa è legata a quello che il cliente “ha percepito” del prodotto acquistato o del servizio ricevuto.
I modelli di gestione per la qualità ISO 9001 e ISO 9004 per le aziende di produzione e di servizi e organizzazioni in generale, attribuiscono un’importanza  primaria alla soddisfazione dei clienti in un approccio sistemico alla gestione.
Ogni organizzazione ha dei clienti esterni ed interni che hanno proprie esigenze ed aspettative.
Il successo di un’organizzazione dipende dal saper comprendere, tali esigenze ed aspettative, presenti e future, dei clienti attuali e  potenziali e degli utenti finali, tradurle in requisiti del cliente e caratteristiche dell’offerta e soddisfarli (punti 5.2, 7.2 e 8.2 della ISO 9001) mirando a superare le loro stesse aspettative in modo competitivo. Il successo dipende anche dal saper comprendere e prendere in considerazione le esigenze ed aspettative delle altre parti interessate.
Le indagini sulla soddisfazione hanno la finalità di fornire gli elementi per una diagnosi precisa e completa dei fattori (drivers) che causano soddisfazione (aspettative raggiunte), insoddisfazione (aspettative disattese) e delizia (aspettative superate) della clientela, e che influenzano i comportamenti dei clienti, noncè di produrre indicatori di prestazione dell’organizzazione, capaci di monitorare l’efficacia delle azioni messe in atto per migliorare la soddisfazione dei clienti suggerendo nuovi input per il miglioramento.
Per le organizzazioni private o pubbliche di tipo commerciale lo scopo è quello di comprendere come migliorare i risultati degli indicatori ed influenzare positivamente i comportamenti d’acquisto dei clienti – aumentando il numero e il valore dei clienti fedeli, quando, per libera scelta in presenza di offerte concorrenti competitive, essi decidono di riacquistare i prodotti servizi dell’organizzazione che già li serve.
Per le organizzazioni della pubblica amministrazione o non lucrative lo scopo è quello di comprendere come  migliorare gli indicatori relativi alla propria missione e influenzare i comportamenti degli utenti.
Le indagini devono individuare i fattori (drivers) della soddisfazione e rilevare, per ciascuno di essi, lo scarto fra percezione e aspettative dei clienti.  Esse devono indagare anche le modalità con cui tali fattori concorrano assieme a formare il valore degli indicatori di prestazione – parziali e complessivi dell’organizzazione -, per confrontarli nel tempo con indicatori interni di qualità e con indicatori dei concorrenti.
La diagnosi deve permettere di individuare, nel processo cliente-cliente, le priorità di miglioramento e supportare la definizione delle azioni che l’organizzazione deve implementare su ciascun driver (inteso come leva azionabile) per migliorare la soddisfazione ed i comportamenti dei clienti, nonché gli indicatori di prestazione dell’organizzazione. Le indagini possono anche mettere in evidenza nuovi orizzonti  di sviluppo. Seguendo l’evoluzione nel tempo dello scarto fra percezione e aspettative, viene valutata l’efficacia e la pertinenza delle azioni di miglioramento effettuate in un contesto competitivo e di aspettative dei clienti che continuamente crescono e mutano.
La rilevazione della soddisfazione del cliente deve  riguardare ciascuna caratteristica del prodotto e/o servizio  (“satisfaction driver”).
In un  sistema di gestione per la qualità non si possono, quindi, disattendere i processi per la definizione univoca dei requisiti del cliente, ai quali orientare il sistema stesso, i processi diretti a verificare la soddisfazione del cliente e, di conseguenza, l’efficacia del sistema di gestione per  la qualità. Tali processi fanno parte del sistema di ascolto del cliente indispensabile per garantire la coerenza di tutti processi aziendali.
Per approfondimenti sulle metodologie per valutare i rapporti con i clienti e la rilevazione della loro soddisfazione è stata emessa una normativa, la UNI 11098 – Linee guida per la rilevazione della soddisfazione del cliente e per la misurazione degli indicatori del relativo processo.
Dunque poiché i clienti soddisfatti e fedeli rappresentano un valore inestimabile per qualsiasi tipo di organizzazioni, sia le Balanced Scorecard, sia le ISO 9000 richiedono di misurare la soddisfazione del cliente, focalizzandosi sugli aspetti importanti del prodotto e del servizio che contribuiscono a determinare la scelta del cliente.
In questa prospettiva le misure più significative fanno riferimento a:

  • quota di mercato dei vari prodotti e servizi;
  • indici di fidelizzazione dei clienti;
  • indici di capacità di trattenere il cliente (customer retention rate);
  • indici di acquisizione di nuovi clienti (sia su vecchi sia su nuovi prodotti/servizi)
  • grado di soddisfazione dei clienti(rilevati attraverso indagini customer satisfaction)
  • livello di redditività/profitto per cliente;
  • indici sulla tipologia di clienti (occasionali/continuativi, suddivisione per settore di attività/mercato, percentuale di clienti che coprono i 3/4 del fatturato, ecc.);
  • indici di benchmarking sulle vendite (confronto con la concorrenza su medesimi parametri noti);
  • caratteristiche/attributi del prodotto/servizio richiesti dal cliente e ritenuti più importanti;

Ma anche a misure indirette della soddisfazione del cliente, legate all’ottemperanza di requisiti contrattuali (qualità del prodotto, tempi di consegna, costi).
La prospettiva dei processi aziendali interni
Per la teoria delle Balanced Scorecard La prospettiva della gestione dei processi interni deve consentire alla Direzione di definire i processi “critici” in cui l’azienda deve eccellere per conseguire gli obiettivi finanziari e quelli relativi ai rapporti con i clienti. Si tratta di processi che, per il valore che creano, sono in grado di attrarre e mantenere i clienti, oltre ad offrire agli azionisti aspettative di elevati ritorni finanziari.
I sistemi di misurazione tradizionale si focalizzano sui clienti già acquisiti e sull’offerta dei prodotti in essere, allo scopo di controllare e migliorare i processi già esistenti. Gli indicatori più significativi nella prospettiva di business interno sono rappresentati da quelli che consentono di valutare i processi operativi in termini di:

  • costi delle attività che ne fanno parte, attraverso la tecnica di Activity Based Costing;
  • gestione economica delle stesse attività, attraverso la metodologia di Activity Based Management;
  • la qualità dei processi, sulla base del Business Process Reengineering.

I metodi tradizionali di rilevazione dei costi delle attività erano basati sul concetto di full costing, attribuendo costi diretti (manodopera e materiali) in relazione all’utilizzo dei fattori ad essi collegati ed i costi indiretti, considerati fissi, sulla base di parametri convenzionali. La metodologia ABC si propone una attribuzione dei costi per esigenze di misurazione, sulla base della tecnica di Activity Based Costing, con l’obiettivo di attribuire i costi delle risorse aziendali alle attività da queste sviluppate ed i costi delle attività agli oggetti (in particolare i prodotti) dei costi per poter permettere di prendere correttamente le decisioni più importanti.
La metodologia ABC è quindi uno strumento che consente di individuare la soluzione di particolari problemi legati a prodotti e dovuti a vincoli di produzione connessi – non ai corrispondenti volumi, ma alle attività che generano questi prodotti – e di evitare lo spreco di risorse impiegate nelle proprie attività operative.
L’utilizzo delle informazioni derivanti dalla metodologia ABC è la base per una strategia di Activity Based Management in base alla quale il miglioramento di qualità, tempi, e costi passa attraverso le gestione dei processi aziendali e la valutazione delle loro prestazioni, al fine di indirizzare le risorse aziendali verso quelle attività significative, tanto per il cliente tanto per il funzionamento dell’azienda, che presentano una prospettiva di redditività maggiore e di migliorare il modo in cui le stesse attività vengono svolte.
Lo sviluppo di una nuova visione di azienda come somma di processi che portano valore ai clienti determina l’esigenza di miglioramenti continui alla base di una nuova filosofia manageriale nota come Business Process Reengineering, che impone un ripensamento del modo di lavorare basato su processi, assieme alla necessità di dotarsi di un nuovo sistema informativo e di misurazione delle performance, fondato su soluzioni tecnologicamente evolute, e di un nuovo sistema di valori focalizzato alla soddisfazione del cliente.
Secondo le norme ISO 9000 è necessario definire degli indicatori di monitoraggio e misura dei processi, in particolare di quelli realizzativi, ovvero quelli legati alla vendita, progettazione, sviluppo, produzione e consegna del prodotto, nonché all’acquisto di materie prime e servizi. Dunque si tratta di indicatori che ci permettono di monitorare gli input e gli output dei processi di business dell’organizzazione, al di là della suddivisione del sistema in processi, che ovviamente può essere differente da una organizzazione ad un’altra, si tratta principalmente degli indicatori relativi al raggiungimento dei requisiti e degli obiettivi dei processi. Per esempio un processo produttivo che ha come risultato la fabbricazione di un certo prodotto potrebbe essere misurato in termini di qualità dei prodotti risultanti (ad es. percentuale di prodotti conformi rispetto al volume di produzione), tempi di produzione (ad es. ritardi di consegna, ritardi rispetto ai tempi di produzione pianificati) e costi (ad es. costi delle non conformità o degli scarti di lavorazione).
Naturalmente per gli altri processi realizzativi (processo commerciale, processo di approvvigionamento, processo di progettazione,…) potrebbero essere definiti molti altri indicatori, in generale diversi da azienda ad azienda in quanto gli obiettivi strategici potrebbero essere differenti. Ma non è tutto: alcuni indicatori potrebbero aiutarci a valutare più di un processo. Si prenda per esempio il ritardo di consegna di un prodotto o in generale un livello di servizio inferiore ai requisiti: non è detto che la causa del ritardo sia da imputare alla produzione, ma potrebbe essere stata la funzione commerciale ad aver fatto promesse non mantenibili al cliente!.
Occorre infine tener presente che il processo commerciale è un processo realizzativo interno, ma alcuni indicatori ad esso relativi sono considerati – nella teoria delle Balanced Scorecard  – anche nella prospettiva del cliente (ad es. i volumi delle vendite).

La prospettiva di innovazione ed apprendimento
La prospettiva di innovazione ed apprendimento (o di sviluppo futuro) identifica l’infrastruttura che l’impresa deve costruire per realizzare una crescita di lungo periodo e lo sviluppo dell’organizzazione. Essa può essere intesa come:
prospettiva di innovazione e vantaggio competitivo tesa ad evidenziare l’infrastruttura necessaria all’impresa per competere, con la propria organizzazione, nel lungo periodo. La crescente competitività dei mercati richiede da parte delle imprese un aumento delle loro capacità in termini di valore per i loro clienti e per gli azionisti, oltre che un impegno nell’innovare strumenti e tecnologie, soprattutto in un’ottica di crescita nel medio/lungo termine. L’analisi della competitività fa riferimento al posizionamento dell’impresa nel mercato rispetto alla concorrenza, in relazione alla qualità delle risorse a disposizione, intese come livello di prestazione e come potenziali capacità di sviluppo.
prospettiva del mercato, in questo caso i manager individuano i segmenti di mercato in cui l’azienda può competere. La conoscenza dell’ambiente competitivo è indispensabile per poter fronteggiare efficacemente le minacce e sfruttare al meglio le opportunità che si presentano.
prospettiva della cultura e apprendimento, la cultura aziendale è costituita da abitudini ma anche da formazione e continuo apprendimento, in grado di orientare i comportamenti degli individui nello svolgimento delle loro attività. L’ambiente in cui operano le imprese di oggi impone un continuo aggiornamento delle conoscenze e competenze in modo da indirizzare la competitività verso i livelli di eccellenza richiesti dal mercato.
Questa prospettiva si focalizza su tre principali elementi: le persone (risorse umane), i sistemi (risorse materiali) e le procedure organizzative.
Gli indicatori più appropriati a misurare le performance sotto questa prospettiva fanno riferimento a:

  • organico medio;
  • rookie ratio (rapporto fra il numero di dipendenti con meno di 2 anni di esperienza ed il totale dei dipendenti);
  • indice del turnover (esprimibile in vari modi, ad es. rapporto fra il totale delle assunzioni e dimissioni durante l’anno ed il totale dei dipendenti);
  • risultati di indagini di soddisfazione del personale;
  • tasso di assenteismo;
  • ore di formazione annue per dipendente oppure sul totale delle ore lavorate;
  • ore di “fermo macchina” sul totale delle ore lavorate (per aziende che costruiscono un prodotto il fermo potrebbe riferirsi alle macchine degli impianti produttivi, per aziende di servizi – quali ad esempio banche, uffici pubblici, internet provider – ai sistemi informatici);
  • costi di manutenzione per i sistemi informatici rispetto al valore degli stessi.

Come si vede il sistema di gestione per la qualità ISO 9000, al capitolo Gestione delle Risorse, già contempla questi aspetti. Inoltre la presenza di procedure organizzative documentate per conservare il know-how aziendale è una delle principali finalità per le quali è opportuno implementare un sistema qualità.
Conclusioni
Le Balanced Scorecard si sono rivelate uno strumento molto utile per misurare le prestazioni di una organizzazione ed i punti in comune con il sistema di gestione per la qualità secondo le ISO 9000 sono numerosi.
In particolare la filosofia alla base di Balanced Scorecard e Quality Management è praticamente la stessa:

  • devo definire una mission dell’organizzazione, quindi una vision;
  • attraverso l’identificazione dei fattori critici di successo per l’organizzazione definirò dei macro-obiettivi;
  • definisco quindi una strategia che mi consenta di perseguire i macro-obiettivi;
  • traduco i macro-obiettivi in indicatori misurabili, eventualmente definisco indicatori di sintesi a livello direzionale ed indicatori più di dettaglio per singoli processi e/o attività;
  • devo provvedere a diffondere mission, vision, strategia, obiettivi ed indicatori ai pertinenti livelli dell’organizzazione, apportando i cambiamenti organizzativi necessari per allineare l’organizzazione alla strategia, creando la motivazione del personale, ecc.;
  • elaboro gli indicatori e verifico il raggiungimento del target stabilito;
  • pianifico azioni di miglioramento finalizzate al raggiungimento sia degli obiettivi non conseguiti, sia dei nuovi obiettivi o dei nuovi valori di riferimento, migliorativi, che mi sono posto;
  • è fondamentale che il set di indicatori sia “bilanciato” per comprendere se l’organizzazione sta andando verso la direzione giusta, senza creare false aspettative.

Ad esempio per una società telefonica o una società che eroga servizi televisivi a pagamento che ha l’obiettivo di acquisire nuova clientela attraverso un approccio aggressivo al mercato (spot televisivi, agenti sul territorio, ecc.) si potrebbero ritenere interessanti indicatori relativi ai nuovi clienti acquisiti ed ai nuovi servizi venduti. Viceversa però sarebbe opportuno avere indicazioni anche sulla soddisfazione dei clienti nel post-vendita, ovvero sulle contestazioni avute per servizi fatturati, ma non voluti dai clienti, sui mancati pagamenti causati da disservizi e sulle conseguenti spese di recupero del credito, sulle spese legali per risolvere controversie con la clientela, ecc..
In altre parole non si vincono gli scudetti solo segnando molti gol, ma occorre anche una buona difesa che ne prenda pochi (o viceversa) ed il giusto equilibrio si può raggiungere più agevolmente analizzando dati raccolti sotto diverse prospettive.




Come calcolare il costo “vero” del prodotto

Fingers Holding Penny Above Stack of PenniesIn questi tempi di crisi o di lenta ripresa è molto importante riuscire a valutare nel modo corretto il costo reale del prodotto, soprattutto per la piccola e media impresa (PMI). Ciò serve ad una serie di scopi che possono essere riepilogati nei seguenti:

  • stabilire un giusto prezzo da proporre nell’offerta al cliente;
  • valutare la remuneratività di una determinata commessa;
  • fornire alla contabilità analitica uno degli elementi fondamentali per il controllo di gestione.

Se esaminiamo il caso della determinazione del costo del prodotto in un’industria manifatturiera, in particolare in un’azienda meccanica che realizza prodotti meccanici finiti, possiamo identificare una serie di problematiche connesse al costo del prodotto ed anche alcuni errori che vengono sistematicamente commessi da piccole (e talvolta anche medie) imprese del settore meccanico.

Innanzitutto identifichiamo le componenti che determinano il costo del prodotto. Per semplicità consideriamo un prodotto/componente con distinta base mono-livello, ovvero non costituito da componenti che debbano essere realizzati o acquistati individualmente e poi assemblati fra loro per formare l’assieme. Tale semplificazione – a parte il fatto che non ci costringe a considerare una distinta base a più livelli del nostro prodotto – non comporta alcuna differenza nell’analisi dei concetti fondamentali su cui si basa il costo del singolo componente, infatti, nel caso di prodotto costituito da più componenti, sarà sufficiente sommare i costi dei singoli componenti per determinare il costo dell’assieme realizzato assemblando tutti i componenti di cui è composto.

La teoria della determinazione del costo del prodotto ha individuato due tecniche di aggregazione dei costi ben distinte: il criterio del costo pieno (full costing) ed il criterio del costo variabile (direct costing). Nessuno dei due è valido in assoluto, entrambi hanno pregi e difetti. Soprattutto, le informazioni offerte dai due metodi sono molto differenti.
L’approccio più corretto nel calcolare i costi è quello di utilizzare il full costing o il direct costing in funzione della decisione da prendere. Il che è quello che viene generalmente fatto, magari senza rendersene conto, da coloro che non posseggono un sistema formalizzato di Contabilità Analitica.

Il full costing fornisce un’immagine immediata del costo totale dell’oggetto analizzato (nel nostro caso il prodotto). Questa metodologia è ampiamente accettata: ai costi diretti dell’oggetto (materie prime, manodopera, consumi diretti) si somma una quota “convenzionalmente congrua” dei costi indiretti (ammortamenti, costi commerciali, costi distributivi, spese generali) in modo tale da configurare un costo totale.

Il direct costing, d’altro lato, è una metodologia di calcolo più moderna, nei sistemi di Contabilità Analitica, che consiste nel considerare i costi fissi non come costi da imputare al singolo prodotto, ma piuttosto come costi di periodo che devono essere necessariamente coperti per raggiungere un pareggio economico. Al prodotto vengono imputati solamente quei costi che gli sono oggettivamente riferibili, cioè i costi variabili.

Accanto a queste due tecniche tradizionali si è aggiunta la metodologia dell’ABC Costing (Activity Based Costing), basata sull’assorbimento di risorse (e di costi) da parte di attività che poi permettono di realizzare il prodotto.

Se un piccolo imprenditore avesse voglia di leggersi uno dei tanti testi teorici sulla contabilità analitica e sul controllo di gestione al fine di determinare il costo del prodotto si troverebbe disorientato dagli esempi proposti nella letteratura che prendono in esame la produzione di pochi prodotti con volumi ben determinati. La realtà della piccola impresa del nostro esempio è ben diversa: il costo presunto del prodotto deve essere determinato in fase di formulazione del preventivo, quando i volumi di produzione non sono ancora ben noti ed i tempi di realizzazione del particolare possono solo essere stimati.

Vediamo quindi quali sono le componenti che, sommate fra loro, andranno a costituire il costo finale (costo pieno, secondo la teoria del full costing) del prodotto, prendendo anche in considerazione le esigenze informative che sono richieste al sistema informatico gestionale per supportare l’imprenditore nelle scelte legate al costo del prodotto.
Il primo elemento che si prende in considerazione è il costo del materiale. Esso va, ovviamente, determinato calcolando il peso del materiale necessario per realizzare ogni singolo particolare e moltiplicandolo per il costo (al kg o al grammo) del materiale. Tale valore, ideale, dovrà subire parametri correttivi dovuti a diversi fattori:

  • sfridi e scarti di materiale, dovuti anche al fatto che spesso materie prime come. ad esempio. l’acciaio vengono vendute in barre di una determinata lunghezza (e peso) e che l’alimentazione delle macchine automatiche genera delle rimanenze (spezzoni) che non possono essere riutilizzate;
  • la fluttuazione dei prezzi della materia prima nel tempo, che può influenzare il costo del prodotto nel lungo periodo;
  • la gestione dell’acquisto del materiale, che implica tempo del personale coinvolto ed oneri di gestione, compresi costi di immagazzinamento e rischi di obsolescenza. In alcune situazioni questo suggerisce di applicare un piccolo sovrapprezzo sul costo della materia prima.

E’ necessario, infine, tenere presente che talvolta il materiale è fornito in conto lavoro dal cliente, quindi non costituisce un costo per il fornitore che deve comunque gestirne l’immagazzinamento ed i controlli in accettazione, oltre ad eventuali sfridi e scarti di lavorazione.

Il secondo macro-elemento da considerare nella determinazione del costo del prodotto è il costo delle lavorazioni, il vero valore aggiunto che fornisce la nostra azienda al cliente. Qui l’azienda si gioca gran parte della propria competitività perché su queste attività c’è la maggior parte del margine aziendale, la ragione per cui il cliente ha scelto la nostra azienda per realizzare il suo prodotto.

Il costo delle lavorazioni è dato dalla somma dei costi di tutte le fasi di lavorazione – interne ed esterne – comprese nel ciclo di lavorazione e controllo. Le fasi di lavoro si possono suddividere in quattro categorie: lavorazioni interne, lavorazioni esterne, operazioni di controllo ed attività logistiche (imballaggio, immagazzinamento, spedizione).
Ogni fase di lavoro svolta internamente può richiedere o meno una operazione di setup o attrezzaggio macchina – eseguita una volta per ogni commessa di lavorazione, salvo eccezioni – e comprende una lavorazione vera e propria effettuata su ogni singolo pezzo oppure sull’intero lotto produttivo. Dunque ogni fase di lavoro ha un costo pari a:
[1] Costo fase i-esima = Costo orario di setup x tempo di setup + Costo orario di lavorazione x Tempo di lavorazione.

Da questa scomposizione emerge subito il fatto che mentre il primo addendo è indipendente dal numero dei pezzi lavorati, il secondo cresce proporzionalmente al numero dei pezzi lavorati; pertanto, ai fini del calcolo del costo del prodotto, la componente unitaria del costo di lavorazione della fase i-esima per unità lavorata è dato dal

Costo di setup/numero di unità lavorate + costo di lavorazione unitario

Nella formula [1] Il costo orario di setup è costituito da due componenti: il costo orario della macchina ed il costo orario dell’operatore, perché in questa fase sia la macchina, sia l’operatore che la attrezza impiegano contemporaneamente il loro tempo nella fase di atrezzaggio, di realizzazione dei primi pezzi (campione) e nel loro controllo, fintantoché non vengono realizzati particolari pienamente conformi alle specifiche e, quindi, avviene il cosiddetto Benestare Avvio alla Produzione (BAP).

Il costo dell’operatore è pari al costo della manodopera di quel livello di specializzazione, infatti solitamente è il personale più esperto (e meglio pagato) che si deica all’attrezzaggio delle macchine.

Il costo orario della macchina viene invece determinato dividendo il costo complessivo di utilizzo della macchina o TCO = Total Cost of Ownership (costo di acquisto + costi di manutenzione e smaltimento) per il periodo ipotetico di utilizzo, costituito non dal periodo di ammortamento fiscale, ma dall’ammortamento reale, ovvero il periodo di vita stimato della macchina. Il tempo di utilizzo della macchina, espresso in anni e poi convertito in ore di lavoro, dovrà essere corretto con un opportuno coefficiente che rappresenta la quota parte di effettivo lavoro della macchina dopo la sottrazione dei fermi macchina per rotture, manutenzioni programmate ed indisponibilità di lavorazioni o personale che sia in grado di attrezzarla.
Molti imprenditori sono soliti considerare che le proprie macchine lavorino a “x euro all’ora”, ma non hanno ben chiari i meccanismi attraverso i quali si è giunti alla determinazione del costo orario, spesso il dato è fornito dal consulente contabile in base all’ammortamento fiscale o alla rata del leasing, senza considerare fermi macchina e costi di manutenzione.
Il costo del setup di macchina è poi influenzato significativamente dalla variabile tempo: spesso i tempi standard considerati in fase di preventivo per il piazzamento della macchina si discostano notevolmente dai tempi effettivi impiegati per il piazzamento, che raramente vengono rilevati da un sistema di raccolta dati efficiente e preciso.
Il costo orario di lavorazione della suddetta formula [1] è costituito, anche in questo caso, dal costo orario della macchina e dal costo dell’operatore, ma mentre il primo elemento è identico al precedente, il secondo dipende dal tempo effettivo di impegno dell’operatore sul centro di lavoro.

Nelle moderne lavorazioni meccaniche effettuate con macchine a controllo numerico di ultima generazione l’operatore non ha la necessità di presidiare la macchina ed è impegnato solo nelle attività di caricamento materia prima, controllo a frequenze prefissate di alcuni pezzi, sistemazione dei pezzi lavorati negli appositi contenitori, cambio utensili, gestione degli imprevisti, ecc.. La stima del tempo dell’operatore (generalmente di profilo più basso rispetto a colui che attrezza la macchina ed a chi è dedicato ad operazioni di collaudo) è difficile ed altrettanto complicata è anche la rilevazione del tempo effettivo impiegato dall’operatore. Normalmente è opportuno utilizzare dei parametri fissi, determinati a livello aziendale in funzione del rapporto macchine/operatori. Ad esempio se in un reparto lavorano 2 operatori che supervisionano e controllano 4 centri di lavoro, si dovrà considerare il costo orario dell’operatore al 50% rispetto a quello effettivo (2 persone/4 lavorazioni). In tutto questo bisogna considerare il costo per i controlli in produzione, effettuati a cadenza prefissata (ad. 3 pezzi ogni 100 prodotti).

Diverso è il caso per lavorazioni eseguite manualmente dall’operatore pezzo per pezzo: in tal caso occorre considerare il costo orario pieno della manodopera come addendo del costo della lavorazione per tutta la durata della stessa.
Anche per la lavorazione la variabile tempo è importante: la determinazione del tempo standard unitario di produzione di un singolo pezzo spesso differisce da dati reali che, se raccolti informaticamente, possono permetterci di elaborare statistiche adeguate sui tempi effettivi di lavoro.

Vari metodi di calcolo possono essere attuati per determinare il tempo effettivo di lavorazione di un pezzo: si può considerare la media generale di un numero minimo di lavorazioni, ad esempio si può:

  • escludere dal calcolo del tempo medio il valore minimo e quello massimo (spesso causati da situazioni anomale);
  • determinare una media pesata in funzione della dimensione del lotto (lotti maggiori possono fornire stime più affidabili);
  • considerare un valore prudenziale dato dal valor medio incrementato della deviazione standard al fine di comprendere comunque la maggior parte delle situazioni;
  • ecc..

Altre considerazioni vanno fatte per le lavorazioni quali trattamenti termici o superficiali che richiedono un tempo di setup (dei parametri del processo) inferiore ed un tempo di lavorazione complessivo per l’intero lotto, indipendentemente dalle dimensioni dello stesso, o meglio fino ad un certo limite, oltre il quale è necessario effettuare una seconda lavorazione sulla seconda parte del lotto, raddoppiando così i tempi.
Spesso sono proprio queste le lavorazioni svolte esternamente, il cui costo è predeterminato dal prezzo del fornitore, che varia in maniera discreta/discontinua in funzione del lotto (ad es. fino a 1000 pezzi un certo prezzo, da 1000 a 5000 un altro prezzo e così via).
Molta attenzione è poi necessaria nella stima dei costi per fasi di lavoro particolari quali imballaggio, immagazzinamento, collaudo finale, ecc., nelle quali il costo dell’operatore incide in maniera diversa sul lotto di unità prodotte. Ad esempio al collaudo finale il tempo dell’addetto è proporzionale al numero di pezzi controllati, non alla dimensione del lotto oppure per l’imballaggio il tempo dipende dal numero di colli realizzati.
Dopo aver sommato il costo del materiale e quello di tutte le lavorazioni occorre, per arrivare a determinare il costo pieno del prodotto, stimare i costi indiretti, che dovrebbero costituire una quota minoritaria del costo complessivo, ma talvolta non sono trascurabili, soprattutto in periodi di crisi.
Qui nasce il problema di come ripartire fra i vari prodotti/commesse (in gergo si utilizza il termine “spalmare”) tutti gli altri costi non imputati direttamente al prodotto. La regola basilare è quella di non calcolare due volte una parte di costo, né di non coprire tutte le voci di costo dell’azienda.
Le voci di costo che solitamente non sono state attribuite direttamente ai prodotti possono essere raggruppate nelle seguenti:

  • costi di struttura (affitto locali, forniture per la struttura, consulenze, ecc.);
  • costi commerciali (pubblicità e marketing, provvigioni commerciali, spese di rappresentanza,…);
  • costi del personale dipendente non direttamente impiegato nelle lavorazioni (impiegati amministrativi, responsabili ed addetti delle funzioni acquisti, qualità, sistemi informativi, ecc.), considerando anche le quote parte del personale della produzione che non viene impiegato nella produzione stessa per inefficienze, scarso lavoro, ecc.;
  • consumi (energia elettrica, riscaldamento, ecc.), eventualmente depurati dei consumi direttamente imputati ai costi macchina;
  • materiali di consumo;
  • quote di ammortamento (reali) di beni strumentali e licenze software;
  • tutte le spese non considerate nelle voci sopraelencate.

Alcune semplificazioni possono essere effettuate senza alterare l’accuratezza del risultato. Considerando i costi indiretti e la produzione dell’esercizio precedente si può considerare che i costi indiretti da ribaltare siano una certa percentuale del costo del prodotto, ma occorre la massima attenzione per non incorrere in errori significativi. Poiché, infatti, la maggior parte dei costi indiretti sono anche costi fissi, cioè sono indipendenti dai volumi produttivi, il calcolo suddetto potrebbe essere inficiato da notevoli variazioni nei volumi produttivi, cosa molto frequente in questo periodo di crisi. Facciamo un esempio: se nel 2008 l’azienda ha fatturato 10.000 (in migliaia di euro) con costi della produzione pari a 6.000 e costi indiretti 2.000 (per un margine di contribuzione lordo pari a 2.000), l’incidenza dei costi indiretti è del 2000/6000 = 33% sui costi della produzione. Supponiamo che nel 2009 il fatturato cali a 6.000 (-40%) ed i costi della produzione siano pari a 3.600 (sempre il 60% di ricavi), mentre i costi indiretti siano sempre 2.000. Per il 2009 l’incidenza dei costi indiretti sul costo della produzione è 2000/3600 = 56%, dunque quale percentuale consideriamo (33% o 56%) nella determinazione del costo del prodotto nel 2010 se non sappiamo quale sarà l’andamento dell’azienda? In periodi di forti fluttuazioni alcuni schemi di calcolo non sono più validi!
Altre valutazioni possono essere fatte, ad esempio si può ripartire i costi indiretti sulla base di altri cost driver, come ad esempio il tempo impiegato per produrre un singolo pezzo (comprensivo del tempo di setup della macchina): i costi indiretti possono essere suddivisi per giornata lavorativa e quindi per postazione/centro di lavoro, ottenendo un costo orario indiretto di ogni centro di lavoro, consumato dai pezzi lavorati per il lotto di produzione. Oppure utilizzare il metodo del direct costing per superare il problema.

Infine, al costo del prodotto, va aggiunto un piccolo margine percentuale (utile d’impresa) per determinare il prezzo da formulare nel preventivo. Tale prezzo, nel nostro algoritmo di calcolo, potrà essere variato in modo semplice in funzione di diverse variabili, modificabili a richiesta: costo del materiale, numerosità del lotto, frequenza e numerosità dei controlli, costo manodopera, sostituzione di una macchina per la produzione con un’altra equivalente dal punto di vista tecnico, ma con velocità produttiva diversa, capability differente (e diversa probabilità di genrare prodotti non conformi), ecc..

In conclusione il calcolo del costo del prodotto è molto articolato e le considerazioni sopra esposte possono variare in realtà diverse. Per ottenere risultati affidabili sono necessarie competenze adeguate (all’interno o all’esterno dell’azienda), sistemi informatici efficienti, rilevazioni dei tempi di produzione precise ed affidabili.

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Approvato l’accordo di Basilea 3

Il Comitato dei Governatori delle Banche centrali ha approvato l accordo definito Basilea 3 , che impone requisiti patrimoniali più severi per l operatività delle banche, in modo che gli istituti abbiano più risorse per resistere a una crisi come, ad esempio, quella dei mutui subprime che ha condizionato tristemente il sistema finanziario internazionale. L entrata in vigore sarà graduale: dal 1 gennaio 2013 sino alla piena attuazione al primo gennaio 2019. Il testo è stato presentato oggi allo Steering Committee del Financial Stability Board, l organismo guidato dal Governatore della Banca d Italia, Mario Draghi. Il via libera politico, che segue quello di tipo tecnico, si avrà in novembre, con la ratifica del G20 di Seul. L accordo raggiunto a Basilea arriva al termine di un lungo e faticoso lavoro di preparazione. Anche se c è sempre stato consenso sulla necessità di irrobustire gli istituti di credito, i banchieri erano molto preoccupati che le nuove condizioni potessero in qualche modo limitare la loro operatività, tenendo immobilizzati capitali che sarebbero diventati inutilizzabili per la normale operatività creditizia. Senza contare che un eccessiva rigidità delle banche rende queste ultime meno propense a prestare soldi, limitando quindi gli investimenti delle imprese e, indirettamente, lo sviluppo dell economia. A esprimere riserve erano non solo Germania e Stati Uniti, ma anche l amministratore delegato di Unicredit, Alessandro Profumo, in qualità di presidente della federazione bancaria europea. La forte gradualità dell applicazione delle norme, per esempio, è stata concepita proprio per venire incontro alle richieste dei banchieri, dando loro il tempo per reperire le risorse con cui irrobustire i patrimoni degli istituti. L accordo intende agire su quelli che sono ritenuti i requisiti chiave imposti alle banche nella loro attività, che vengono misurati dal rapporto tra patrimonio di vigilanza, ovvero i fondi su cui una banca può maggiormente contare in una fase di necessità, rispetto al totale delle sue attività, ponderate per tener conto delle effettive caratteristiche di rischio. Ebbene, è stato deciso di alzare questo rapporto, in modo che una banca, per potere operare, debba avere un patrimonio di vigilanza più alto e quindi sia meno esposta a eventuali contraccolpi in caso di crisi. Non solo, ma più una banca ha attività investite, più dovrà essere alto il patrimonio di vigilanza. Indirettamente questa riforma metterà tutte le maggiori banche mondiali sullo stesso piano, e in questo modo potrebbe risultare vantaggiosa per le istituzioni italiane. Le banche ne usciranno magari meno redditizie, ma anche molto più solide e sicure. (Fonte CertineWs).

C’è da chiedersi quando molte piccole  emedie imprese italiane adotteranno una struttura del controllo direzionale che potrà agevolarle nell’accesso al credito e nei rapporti con le Banche come era opportuno fare già con Basilea 2. Che dire poi delle Banche? Se Basilea 2 non è stato sufficiente ad evitare il fallimento di alcune banche e società finanziarie illustri, lo sarò basilea 3? O forse è il sistema dei controlli sulle banche e sui rating a dover essere rivisto?