E’ ora di aggiornare la valutazione dei rischi
In un mio precedente articolo L’aggiornamento della valutazione dei rischi dopo la pandemia parlai dell’aggiornamento della valutazione dei rischi post-pandemia.
Ora tutte le aziende certificate ISO 9001 (e non solo) dovrebbero aggiornare la loro valutazione dei rischi, come previsto dalla norma, ma anche da buone prassi aziendali, per affrontare il futuro con consapevolezza.
Ad inizio 2022 il risk assessment non può prevedere solo aggiornamenti legati all’evoluzione della pandemia Covid-19, ma anche ad altri fattori che incidono profondamente sul contesto esterno delle nostre imprese: aumento dei costi dell’energia, aumento dei costi delle materie prime e di diversi componenti elettronici, legato strettamente alla carenza delle medesime materie prime e componenti. L’aumento dell’inflazione ed una probabile crisi dei consumi è una logica conseguenza di tutti questi fattori.
Qui, naturalmente, possiamo solo esaminare il cosiddetto “contesto esterno” applicabile a quasi tutte le imprese, mentre il “contesto interno” dipende da ogni singola realtà, ma è altrettanto condizionato dai fattori esterni citati.
Oltre ai fattori sopra elencati, tutti negativi (salvo in particolari settori dell’economia), occorre considerare l’impatto dei fondi europei, del PNNR e degli Ecobonus. Queste agevolazioni possono avere un’influenza positiva su determinati settori (si pensi al rifinanziamento del bonus 110% per il settore dell’edilizia, compresi i progettisti).
Ma vediamo come valutare i principali fattori di rischio che incombono nel 2022.
Il principale, probabilmente unico rischio per il quale non esistono contromisure di tipo economico, è sicuramente quello legato al Covid.
Qui le aziende dovrebbero esaminare ed aggiornare il contesto generale e quello particolare. Il contesto generale riguarda ovviamente l’impatto del Covid sul mondo esterno all’azienda, sui clienti, sui fornitori, sui servizi di logistica e trasporto, ecc.; mentre il contesto interno riguarda l’impatto del Covid – presente e futuro – sull’operatività interna.
È molto difficile valutare correttamente e consapevolmente questi rischi, anche perché la situazione muta con grande velocità, le previsioni fornite dalle Autorità e dagli Enti preposti si sono dimostrate inattendibili e la continuità aziendale è messa a repentaglio non solo dal rischio pandemico vero e proprio, ovvero – come potrebbe avvenire per una qualsiasi altra epidemia – per la possibile assenza di personale (dipendenti e collaboratori) per un periodo più o meno limitato nel tempo, ma in percentuale considerevole rispetto alla forza lavoro dell’azienda. Infatti, i vincoli di legge, legati a quarantene, possesso del green pass base o rafforzato, limitazioni nei trasporti, ecc. potrebbero essere più penalizzanti del Covid vero e proprio. Ogni azienda dovrebbe guardarsi dentro e capire qual è la propria situazione: la presenza di personale non vaccinato (magari anche perché dovrebbe avere un’esenzione, ma non ce l’ha) potrebbe presto costituire un problema, soprattutto se tali persone ricoprono ruoli critici. Insomma, la cura potrebbe essere peggio della malattia.
In questi casi le imprese di servizi che possono permettersi di mantenere il personale in smart-working hanno un grosso vantaggio: minori rischi di contagio fra il personale, nessun obbligo di green pass o super green pass (necessari per “accedere ai luoghi di lavoro”).
Il contesto generale è tale per cui oggi abbiamo oltre 2 milioni di persone positive ed alcuni milioni di loro contatti in quarantena, auto-sorveglianza o quant’altro si inventano ; dunque, è molto probabile che qualcuno degli interlocutori esterni (clienti, fornitori e soggetti terzi che svolgono servizi) non sia al momento al lavoro, pertanto anche spostarsi con mezzi pubblici ed usufruire di altri servizi, anche di assistenza, potrebbe essere un problema. Tutto questo significa minor efficienza, ritardi e maggiori costi, che si sommano ai costi di prevenzione imposti dalle norme di lotta al virus (a mascherine, disinfettanti e misurazione della temperatura si sono aggiunti i costi legati al controllo del green pass, oltre alle informative varie). Questi costi, uniti ad un’organizzazione del lavoro prudente, non necessariamente favoriscono tutti una diminuzione del rischio, in quanto alcuni sono determinati da leggi che non dipendono dalle imprese e dal contesto in cui operano, leggi che purtroppo variano con frequenza troppo elevata.
Qualche azienda ha provato a definire dei controlli sanitari più restrittivi ed efficaci (ad esempio tamponi antigenici per tutti, non solo per i non vaccinati), accollandosene i maggiori costi, ma riducendo i rischi reali. Altre si sono fatti carico dei tamponi periodici per i non vaccinati, al fine di mantenere la continuità del lavoro, ma anche in questo caso i costi aumentano.
Parafrasando la teoria giapponese dello “zero difetti”, l’obiettivo “zero contagi” non è perseguibile dalla singola realtà, ma potrebbe esserlo solo da un intero Stato, forse dall’intera UE. Viceversa, in Asia la politica sembra essere questa: non appena il numero di contagi sale chiudono il più possibile le attività locali al fine di debellare il Covid-19. E sembra che siano molto più vicini ad una vita normale di quanto lo siamo noi europei. Ma queste scelte e decisioni non sono all’appannaggio di singole imprese, ma solo dello Stato o della Comunità europea. Se le scelte sono sbagliate le imprese le subiranno e basta, la storia ci dirà chi ha avuto ragione perché alcune economie potrebbero avvantaggiarsi rispetto ad altre.
Un effetto collaterale legato al Covid ed alle diverse situazioni nei vari Paesi è legato al forte rischio nelle delocalizzazioni. La continuità produttiva in una fabbrica lontana dal nostro Paese potrebbe essere minacciata e subire rallentamenti indipendentemente da quello che accade nel sito produttivo principale; ma anche nel caso in cui la fabbrica delocalizzata funzioni regolarmente potrebbero verificarsi problemi nei trasporti e nella logistica tali per cui le merci sono pronte, ma non possono essere consegnate.
Di questi tempi una supply chain corta e geograficamente contenuta è certamente una scelta meno rischiosa.
Altro fattore di rischio molto significativo è costituito dall’aumento dei costi energetici che comporterà sicuramente un notevole incremento dei costi fissi e – per molte aziende industriali – anche un aumento dei costi indiretti della produzione. Oltre ad allocare correttamente questi costi ed attuare un efficace controllo di gestione con la rielaborazione dei costi dei prodotti e la conseguente rideterminazione del prezzo di vendita, le imprese hanno la possibilità di ridurre l’effetto di questi aumenti. Ciò può avvenire attraverso il ricorso a servizi specializzati di gestione dell’energia, finalizzati ad ottenere una corretta gestione dei consumi, l’adesione a Gruppi di Acquisto dell’energia, l’efficientamento energetico a partire da una diagnosi energetica e così via. Oggi una politica di risparmio delle risorse naturali paga più che in passato.
Il terzo, ma non meno importante, fattore di rischio emergente nel 2021 è stato il forte incremento dei costi delle materie prime, conseguente ad una carenza di materie prime ed anche di alcuni componenti elettronici, talmente grave da bloccare alcune catene produttive, ad esempio quella dell’automotive.
In questo caso l’impatto per la produzione è diretto e particolarmente significativo, anche se alcune aziende di servizi sono state coinvolte dalla carenza di chip per le proprie apparecchiature elettroniche.
La situazione ha “fatto saltare” alcune metodologie consolidate come il “Just in time” e la minimizzazione delle scorte di magazzino è diventata un difetto, non un pregio. Certe materie prime si acquistano come un titolo in Borsa, permettendo speculazioni scommettendo sul rialzo dei prezzi.
Qui da un lato occorre rischiare acquistando più del dovuto, ma garantendosi la continuità della produzione ed il rispetto dei tempi; dall’altro è opportuno ricalcolare il costo del prodotto ed alzare i prezzi, di conseguenza, rischiando che il cliente si rivolga ad altre offerte più convenienti. In quest’ultimo caso il competitor probabilmente non avrà vita lunga, perché prezzi inferiori potranno essere garantiti solo producendo con una qualità molto inferiore e con margini minimi o nulli, se non negativi.
Anche in questo caso un adeguato sistema di controllo di gestione può aiutare molto ad intraprendere le decisioni corrette.
Come si vede occorre fare tesoro degli insegnamenti delle normative e delle buone prassi, oltre che delle migliori teorie di management, cercando di applicarle alla propria organizzazione. Purtroppo, le imprese italiane, sebbene siano tra le più certificate al mondo su ISO 9001 ed altre norme sui sistemi di gestione, raramente hanno un sistema di gestione veramente efficace che considera tutti gli aspetti. Spesso si valutano solo gli aspetti economico-finanziari senza guardare cosa ci sta dietro ai numeri, oppure si valutano solo meri indicatori commerciali o produttivi, senza sapere se producono effettivamente margini economici.
Gli scossoni che il mondo ci sta facendo sopportare in questi ultimi anni potrebbero fare molti danni, annientare interi settori merceologici ed esaltarne altri, creando disuguaglianze. Come in una guerra avremo probabilmente molti caduti (imprese chiuse), che saranno i più sfortunati (annientati dal Covid e dalla sua gestione) ed i più deboli. Ma se i primi possono solo cambiar mestiere, i secondi potrebbero essere più forti, volendolo.
Nel 2022 il ruolo dell’imprenditore è molto più difficile che in passato, anche se l’azienda ha molto lavoro e sta andando bene.
Oggi, più che mai, bisogna essere in grado di valutare attentamente i rischi che incombono sulla propria organizzazione, analizzando dati di fatto ed adottando azioni concrete di prevenzione e/o protezione dai rischi più importanti, senza farci illudere dal PIL che cresce del 6% nel 2021.