Come uscire dal tunnel e salvare l’azienda?
Oggi molti imprenditori non sanno cosa fare per salvare la propria azienda che sta progressivamente perdendo fatturato, ma cosa hanno fatto finora?
Negli ultimi anni, da quando la crisi economica e finanziaria ha investito il nostro Paese più di altri, molte imprese hanno affrontato il problema proprio come lo ha affrontato il Governo Monti: rigore e tagli alle spese! Sembra che Governo e Imprese da una parte si scontrino perché queste ultime vorrebbero maggiori iniziative per lo sviluppo ed il Governo sta dando solo qualche “contentino”, mentre dall’altra parte si stanno comportando alla stessa maniera.Gli elementi che hanno provocato la crisi sono molteplici ed alcuni poco controllabili, chi avesse seguito la trasmissione SuperQuark di venerdì 7/12 (ancora disponibile sul sito web della RAI) avrà avuto l’occasione di apprendere in modo chiaro e semplice perché siamo dentro al tunnel della crisi. Se alcuni Paesi stanno crescendo più di noi (che siamo in piena recessione) ci sono ragioni sulle quali non possiamo influire – quali ad esempio la crescita demografica e le ricchezze del territorio – ed altre per le quali è colpevole la classe dirigente degli ultimi trent’anni e forse più. Nella classe dirigente sono compresi sia la classe politica ed i governi che si sono succeduti in questo lasso di tempo, sia chi ha creato e diretto le imprese italiane.
Ora è difficile recuperare in tempi brevi quanto si è perso a causa della corruzione, dell’inefficienza della Pubblica Amministrazione, della sottrazione di fondi pubblici da parte di appartenenti a vari partiti, dall’evasione fiscale e così via. Qualcosa si stava cercando di fare negli ultimi tempi, ma non basta.
Con queste premesse i margini per risollevarsi delle imprese italiane, prevalentemente piccole e medie imprese, sono ristretti. Da un lato si può sperare (e pretendere) non solo in riforme che ci allineino ai Paesi più virtuosi, non solo in tema di pareggio di bilancio, ma di rispetto delle regole e di equità, oltre che di investimenti per lo sviluppo da parte dello Stato. Dall’altro le imprese devono fare molto per essere più efficienti e tecnologicamente innovative e quindi guadagnare competitività a livello internazionale rispetto a chi ci precede.
Così come il solo taglio delle spese – comprese quelle per lo sviluppo, la ricerca, l’innovazione e la formazione – non potrà portarci da nessuna parte a livello di Paese, anche nelle imprese industriali e dei servizi tagliare il più possibile i costi può solo consentire (forse) di salvare il pareggio di bilancio oggi che cala il fatturato. Ma questi interventi non permetteranno di far crescere i ricavi domani, quando avremo perso ancor di più competitività, a causa delle maggiori inefficienze che avremo introdotto con i tagli alle spese ed agli investimenti, soprattutto in innovazione tecnologica di prodotto e di processo, ed a causa della demotivazione di personale poco formato.
Oggi è frequente vedere imprese che – a fronte di un brusco calo di fatturato – hanno le risorse sottodimensionate dalla ricerca di riduzione dei costi variabili e fissi per compensare i costi fissi elevati. Questo avviene sottraendo ancor più tempo all’organizzazione, o meglio alla riorganizzazione interna, necessaria per migliorare l’efficienza e, dunque abbattere in modo duraturo i costi variabili e quelli fissi.
In questo contesto molti piani di risanamento delle imprese falliscono miseramente perché non solo non portano ad un aumento delle vendite e dei ricavi, ma nemmeno riescono a frenare il calo del fatturato e, quindi, i finanziamenti richiesti alle banche o ad altri soggetti non producono “leva finanziaria”, ovvero non generano utile a tassi maggiori rispetto a quelli degli interessi del debito contratto.
D’altro canto molte piccole imprese (numericamente oltre il 90% del totale delle imprese, in percentuale maggiore rispetto agli altri Paesi guida europei) non hanno soldi nel vero senso della parola, ovvero oltre che della crisi economica, soffrono anche di profonda crisi finanziaria: il cash flow è ridotto al minimo, i clienti tardano a pagare (specie se Pubblici) e le Banche richiedono tassi elevati per finanziare l’attività dell’Impresa. Alcune imprese cercano investitori che non ci sono, del resto chi investirebbe in imprese dal fatturato in calo, poco efficienti, poco capitalizzate, senza “asset intangibili” di particolare valore (il know-how è nella testa delle persone, molte delle quali demotivate, e le risorse tecnologiche sono scarse e spesso mal impiegate da personale poco formato). Le condizioni al contorno (criminalità organizzata, corruzione, lentezza della Giustizia, costo dell’energia, difficoltà a far rispettare le regole, difficoltà nell’accesso al credito, burocrazia, ecc.) poi non favoriscono certo l’attrattiva agli investimenti delle imprese del nostro Paese.
Ma allora che fare? La ricetta vincente non esiste, ogni impresa fa storia a sé, se non altro perché ha un suo mercato ed è costituita di persone diverse dalle altre. Quello che a mio modo di vedere sarebbe importante fare è analizzare l’impresa da cima a fondo ed identificare le possibili aree di miglioramento che sicuramente ci saranno, bisogna sapere cosa si è disposti ad investire. Talvolta è necessario cambiare mentalità all’imprenditore o ai dirigenti/responsabili di primo livello per convincerli ad affrontare la crisi in modo diverso ed a dedicare tempo non solo a portare avanti le attività ordinarie (fare offerte, concludere le commesse di produzione o di servizio, consegnare i prodotti ed erogare i servizi), ma anche quelle straordinarie a cui non si è mai dedicato tempo finora: analizzare i processi ed identificare le relative inefficienze, eliminare attività non a valore aggiunto, ascoltare le esigenze del personale per risolvere i problemi, analizzare i sistemi informativi per migliorarli per rendere i processi più efficaci (ridurre i tempi delle attività e diminuire gli errori) ed efficienti (impiegare minor tempo delle risorse umane per svolgere la medesima attività), pensare all’innovazione dei prodotti e dei processi, cercare di migliorare la qualità del prodotto, motivare le risorse umane. Questo potrebbe essere più difficile che trovare finanziatori, ogni imprenditore vuole fare di testa sua: è questo uno dei motivi perché abbiamo tantissime piccole e microimprese, molte di più di tedeschi, inglesi e paesi nordici…perchè “piccolo non è bello”, più che altro è poco efficiente. Infatti nelle piccole imprese il personale è mediamente meno competente (dove per competente si intende un mix di istruzione scolastica, formazione professionale ed addestramento, esperienza lavorativa, conoscenze tecniche ed organizzative, capacità/abilità a svolgere determinati compiti), soprattutto relativamente all’utilizzo di sistemi informatici. Anche l’innovazione tecnologica, principalmente costituita dai sistemi informatici, nelle piccole imprese è di livello inferiore rispetto alle medio-grandi imprese. E tutto ciò si paga in termini di efficienza e quindi di maggiori tempi e costi per completare le attività ordinarie.
Allora la crisi della piccola impresa può essere affrontata cercando di dotarsi di strutture, organizzazione e tecnologie da grande impresa, visto che oggi i processi della piccola impresa non sono – come dicono alcuni piccoli imprenditori – più snelli di quelli della grande impresa e per questo più competitivi. Questo era forse vero un tempo, quando la maggior parte dei costi e del valore dell’impresa era concentrata sui materiali e sul processo produttivo (macchine, impianti e manodopera poco qualificata). Oggi, a parità di costi di materiali e manodopera, la differenza la fa la competenza delle risorse umane ed i sistemi informatici, molto più importanti che un tempo, che permettono di svolgere le attività – magari non primarie, ma comunque costose – in tempi inferiori e meglio (con un prodotto di qualità migliore).
Ma se da un lato bisognerebbe investire di più in ricerca ed innovazione tecnologica per garantirsi un futuro migliore (in certi casi solo un futuro), dall’altro gli strumenti per uscire dal tunnel e salvare l’azienda sono metodi già noti da anni. Parlare di sistemi di gestione qualità, business process reengineering, controllo di gestione, KPI, balance scorecard, valutazione e motivazione delle risorse umane e di tanti altri sistemi per “fare le cose meglio” non è certo una novità, lo è invece applicarli nel modo corretto con una Direzione che ci crede perché crede nel cambiamento.