Luci ed ombre del contratto di trattamento dati con il Responsabile del trattamento

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Gli accordi fra Titolare del trattamento e Responsabile del Trattamento sono probabilmente uno dei punti più difficili da gestire nell’applicazione del GDPR, sia perché i requisiti del GDPR sono diversi dalla vecchia nomina del responsabile esterno del trattamento del Codice Privacy, sia perché le responsabilità, in capo sia al Titolare, sia al Responsabile sono più pesanti che in passato.

Spesso tale accordo è imposto dal Titolare al Responsabile che non gradisce e troppo spesso il Titolare evita contrasti con il Responsabile, magari fornitore già scelto da tempo, e desiste. In altri casi – come quelli dei colossi del web, fornitori di servizi cloud – il Titolare non ha nemmeno modo di discutere le clausole contrattuali dell’accordo per la protezione dati imposto dal Responsabile.



L’articolo 28 del regolamento UE 679/2016 /GDPR), al comma 1, indica che:

Qualora un trattamento debba essere effettuato per conto del titolare del trattamento, quest’ultimo ricorre unicamente a responsabili del trattamento che presentino garanzie sufficienti per mettere in atto misure tecniche e organizzative adeguate in modo tale che il trattamento soddisfi i requisiti del presente regolamento e garantisca la tutela dei diritti dell’interessato.

Inoltre, il suddetto Regolamento – al comma 3 -prevede anche che:

I trattamenti da parte di un responsabile del trattamento sono disciplinati da un contratto o da altro atto giuridico a norma del diritto dell’Unione o degli Stati membri, che vincoli il responsabile del trattamento al titolare del trattamento e che stipuli la materia disciplinata e la durata del trattamento, la natura e la finalità del trattamento, il tipo di dati personali e le categorie di interessati, gli obblighi e i diritti del titolare del trattamento

Da questi requisiti e dal prosieguo del comma 3 discendono le clausole che normalmente vengono imposte nei contratti fra titolare e responsabile, ovvero nei contratti di “nomina del responsabile del trattamento”. Al di là delle discussioni sull’opportunità di denominare ancora questi accordi “nomina del responsabile del trattamento” retaggio della precedente normativa italiana (D.Lgs. 196/2003), di fatto si tratta di un accordo o contratto che impegna le due Parti nei rispettivi ruoli, ma soprattutto è il Responsabile nominato che dovrà adempiere ad alcuni obblighi.

Nel corso di questi oltre  quattro anni di applicazione del GDPR ho riscontrato diverse situazioni difficili nel finalizzare la sottoscrizione di questo accordo di nomina del Responsabile, da entrambe le parti.

Il problema principale che si riscontra è quello che il nominando Responsabile non accetta la nomina/accordo perché ritiene di non ricoprire il ruolo di Responsabile, ma piuttosto quello di Titolare autonomo o di soggetto autorizzato al trattamento dei dati personali.

È ormai noto il caso dei consulenti del lavoro o studi/società che elaborano le buste paga per aziende e organizzazioni di ogni tipo: il loro ruolo era chiaramente quello di Responsabile del trattamento, ma finché il Garante Privacy non si è espresso hanno “resistito” anche in forza di una interpretazione di parte del loro Ordine Professionale.

Per altri soggetti il ruolo non è sempre ben definito e, anche quando è stato definito il ruolo di Responsabile del Trattamento, spesso le clausole contrattuali sono contestate.

Mi riferisco ai Responsabili del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP), naturalmente se professionisti esterni all’organizzazione Titolare del trattamento, ai Commercialisti e Consulenti Fiscali, ai Consulenti legali, ai Revisori Contabili, all’Organismo di Vigilanza (OdV), ai membri del Collegio Sindacale, ai consulenti di servizi di assistenza informatica e così via.

È importante capire che non è il semplice incarico a determinare il ruolo soggettivo privacy del consulente/professionista esterno o fornitore. Dipende da quali dati tratta e come li tratta.

Emblematico è il caso del RSPP che può trattare i dati del personale dipendente (solo dati anagrafici e di contatto, talvolta – ma non sempre – anche dati su infortuni, dunque dati personali appartenenti a categorie particolari di dati ai sensi dell’art. 9 del GDPR) solo presso la sede dell’azienda su sistemi informatici della stessa (alla stregua di un RSPP interno), oppure può trattare i medesimi dati su propri dispositivi e sistemi informatici, anche presso il proprio Studio. A mio parere nel primo caso il suo ruolo si avvicina più a quello del soggetto autorizzato a trattare dati personali, nel secondo a quello di Responsabile esterno del trattamento ex art. 28 del Regolamento Ue 679/2016.

Ma non vorrei qui soffermarmi sulle numerose casistiche che si possono verificare nei rapporti fra Titolare e fornitore e sulla conseguente determinazione del ruolo soggettivo privacy di quest’ultimo, ma piuttosto sui contratti che vengono stipulati (o che si cerca di proporre) fra le parti.

Il caso tipico è quello nel quale il Titolare, tramite il suo consulente privacy o DPO propone un contratto standard per quasi tutti i fornitori che trattano dati personali. Qui se l’autore del contratto/accordo per il trattamento dei dati personali è stato predisposto da un giurista o proviene da una fonte similare (es. modello di DPA dell’Autorità di Controllo della Danimarca oppure le Clausole Contrattuali tipo emanate dalla Commissione Europea) è possibile che alcune clausole siano giustamente rifiutate dal Responsabile designato. In generale un contratto con nomina a Responsabile troppo esteso e dettagliato, scritto in “legalese” potrebbe essere respinto nella sua interezza dal fornitore. Come spesso capita la ragione sta nel mezzo, infatti alcune clausole non fanno che ribadire quello che è già scritto nel GDPR e responsabilizzano il responsabile, se mi è consentito il gioco di parole.

Veniamo a trattare alcuni elementi specifici.

Natura del trattamento, tipi di dati personali trattati e categorie di interessati

Su questo aspetto l’accordo sulla protezione dati potrebbe richiamare il contratto con il fornitore/responsabile, ma talvolta tale contratto non specifica in modo corretto queste informazioni per cui bisogna sopperire nell’accordo di nomina a responsabile. È evidente che senza disporre del contratto che origina il rapporto non si può redigere un accordo di nomina a responsabile completamente corretto.

Personalmente sconsiglio di scendere troppo nel dettaglio dei tipi di dati personali trattati dal Responsabile: è sufficiente indicare dati anagrafici anziché nome, cognome, indirizzo di residenza, ecc.; dati fiscali anziché codice fiscali, partita IVA, dati di fatturazione, ecc.; dati di contatto anziché numero di telefono fisso e cellulare, indirizzo e-mail, PEC, ecc.. Altrimenti ci si troverebbe facilmente a discutere con il Responsabile e, a fronte di nuovi dati l’accordo sarebbe da integrare.

Riguardo ad eventuali dati appartenenti a categorie particolari si può opportunamente distinguere tra i dati sanitari (dati relativi alla salute) da altre categorie di dati particolari come idee politiche, credo religioso e così via.

Regolamentazione di un eventuale sub-responsabile o altri responsabili del trattamento

Il Responsabile può essere autorizzato ad impiegare suoi fornitori (sub-responsabili) nel trattamento dei dati personali del titolare oppure può essere vincolato a richiedere l’autorizzazione per ogni nuovo sub- responsabile o altro responsabile che intende coinvolgere. In ogni caso il nome dell’eventuale “altro responsabile” deve essere reso noto al Titolare.

Se da un lato il fornitore che gestisce una piattaforma di elaborazione delle paghe dei dipendenti in modalità SaaS è sicuramente un Responsabile del Trattamento dello Studio di Consulenza sul Lavoro e, quindi, un Sub-Responsabile dell’azienda che ha la titolarità dei dati dei dipendenti di cui ha esternalizzato la gestione delle paghe, dall’altro ci sarebbe da discutere sul ruolo dei consulenti informatici dello Studio di Consulenza sul Lavoro che occasionalmente possono venire  a conoscenza di alcuni dati personali dei dipendenti del titolare in occasione di interventi di assistenza sui sistemi informatici – in questo caso client-server – dello Studio.

Consideriamo che a ogni Sub-Responsabile dovrebbero essere applicate le medesime clausole contrattuali in essere fra Titolare e Responsabile.

Qui evidentemente c’è un problema nel Regolamento UE 679/2016 che non chiarisce fino a che punto considerare la catena degli altri responsabili del trattamento. Il paradosso sarebbe quello che un sub-responsabile che opera per un determinato Responsabile si dovrebbe veder applicate clausole contrattuali diverse a seconda delle clausole imposte al Responsabile da ogni Titolare per cui esso fornisce il servizio. Ma non solo: il nostro Sub-Responsabile forse non lavorerà per un unico cliente che opera come Responsabile… e allora a quali contratti e clausole contrattuali deve fare riferimento?

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Credo che se chi ha ideato questo articolo 28 del GDPR (e relativo Considerando 81) non ha pensato a queste casistiche bisognerebbe che il Legislatore Europeo, piuttosto che l’EDPB o le Autorità di Controllo dei singoli Paesi chiariscono la situazione.

Una situazione emblematica è quella che riguarda le misure di sicurezza tecniche ed organizzative (le vedremo in seguito) che il Titolare può imporre – a termini di Regolamento – al Responsabile: che succede se un Titolare chiede al Responsabile di adottare delle password di almeno 8 caratteri variate ogni 180 gg. e un altro chiede le password di almeno 12 caratteri variate ogni 90 giorni e un altro ancora chiede la MFA?

I dati devono essere trattati dal Responsabile solo su istruzione documentata del Titolare

Spesso le istruzioni dettagliate non esistono, sono verbali oppure ripercorrono il testo del GDPR. Chiaramente il Titolare non può e non deve dare istruzioni al fornitore come fare il suo lavoro (non può indicare al consulente del lavoro come elaborare le paghe, che evidentemente devono rispettare requisiti di legge che il consulente del lavoro ben conosce), ma solo quali misure adottare per mantenere la protezione dei dati personali. Ad esempio non trasmettere dati riservati in chiaro tramite e-mail, consegnare documenti in busta chiusa tramite corriere piuttosto che Raccomandata A.R. o posta ordinaria. O adottare determinate misure di sicurezza…

Il Responsabile deve adottare misure di sicurezza adeguate come previsto dall’art. 32 del GDPR

Un’indicazione al Responsabile che richiami semplicemente di adottare misure di sicurezza adeguate come prescritto dall’articolo 32 del GDPR non ci dice nulla. L’art. 32 non ci indica quali misure di sicurezza adottare, ma solo quelle ritenute adeguate a fronte di una valutazione del rischio!

Imporre al Responsabile determinate misure di sicurezza può costituire un rischio, ossia che non vengano accettate. Ad esempio l’imposizione della variazione della password periodicamente è ormai appurato che non può essere considerata sempre una misura di sicurezza pienamente efficace, purché il mancato obbligo di modifica della password sia affiancato da altre tecniche (criteri di complessità elevati, notifiche di accesso, MFA, …).

Alcuni contratti, poi, richiamano a titolo esemplificativo (come il GDPR) la cifratura e la pseudonimizzazione come misure di sicurezza. Mentre la prima dovrebbe essere contestualizzata e meglio dettagliata (collegamenti VPN, area dati cifrata sui dischi, dischi dei notebook cifrati, dati in cloud cifrati…), la seconda è molto impegnativa, se non impraticabile, nella stragrande maggioranza dei casi se i dati non sono pseudonomizzati all’origine.

Forse la soluzione migliore è quella di chiedere al Responsabile, attraverso un apposito questionario, quali misure di sicurezza tecniche ed organizzative sta adottando. In tal modo, oltre a stimolare il fornitore sul tema, si può decidere se accettare o meno le misure di sicurezza proposte dal fornitore, ritenendole più o meno adeguate al contesto in cui opera il fornitore. In tal modo si si assicura di aver valutato anche l’adeguatezza del fornitore prima di affidargli l’attività di trattamento dati.

Clausole che descrivono come il Responsabile deve assistere il Titolare in caso di violazione dei dati personali

Il c.d. Data Breach deve essere notificato al GPDP entro 72 ore da quando si è venuti a conoscenza del fatto. Imporre al Responsabile tempistiche molto ridotte per segnalare al Titolare eventuali violazioni di dati personali non ha molto senso, anche perché i tempi non si sommano! Mi spiego meglio: se il Responsabile del trattamento si accorge di un data breach che coinvolge i dati del Titolare alle ore 12 del 10 febbraio e lo comunica al Titolare il12 febbraio alle ore 12 (ovvero dopo 48 ore), il Titolare del trattamento ha 72 ore per fare la notifica al GPDP a partire dalle ore 12 del 12 febbraio, non dalle ore 12 del 10 febbraio, dunque non ha solo 24 ore dalla comunicazione del Responsabile, semplicemente perché prima non lo sapeva del data breach!

Conservazione ovvero cancellazione dei dati personali trattati al termine del contratto

Anche questo punto è molto discutibile: non può essere sempre imposto al Responsabile di cancellare o restituire tutti i dati personali trattati al termine del contratto o dopo un breve periodo da esso, ad es. 30/60 giorni. Per certe attività o prestazioni professionali è ammissibile che il Responsabile trattenga alcuni dati, non solo per adempiere a requisiti di legge, ma anche per dimostrare la correttezza della prestazione svolta, soprattutto se questa deve rispondere a particolari normative.

Occorre poi precisare che qualunque fornitore-responsabile tratta solo determinati dati, per determinate finalità,  del cliente-titolare in qualità di Responsabile. Dunque, i dati di contatto delle persone di riferimento del Titolare, i dati che rientrano nella fatturazione ed in altri obblighi contabili e fiscali sono trattati in qualità di Titolare (autonomo), dunque non rientrano nei termini di cancellazione del contratto di nomina a responsabile, ma saranno quelli indicati nell’Informativa al trattamento dati ai sensi dell’art. 13 del GDPR come titolare del trattamento.

Premesso ciò, diversi consulenti includono inevitabilmente dati anagrafici di dipendenti o persone che rappresentano i clienti o altri fornitori nei loro documenti. Non è pensabile che essi restituiscano e cancellino ogni copia di tali elaborati che costituiscono know-how personale o aziendale e nemmeno che oscurino/cancellino tutti i riferimenti a persone fisiche in tali documenti (sarebbe un lavoro spropositato). Non parliamo poi dei documenti ed altre informazioni scambiate via e-mail!

Anche in questo caso se il legislatore non sopperisce a chiarire queste assurdità dovrebbero essere i contratti fra Titolari e Responsabili ad adeguarsi.

Diritto di audit da parte del Titolare sul Responsabile

Il GDPR prevede che il Responsabile:

h) metta a disposizione del titolare del trattamento tutte le informazioni necessarie per dimostrare il rispetto degli obblighi di cui al presente articolo e consenta e contribuisca alle attività di revisione, comprese le ispezioni, realizzati dal titolare del trattamento o da un altro soggetto da questi incaricato.

Questo è stato tradotto da molti accordi con il diritto di effettuare audit al Responsabile. Anche se il contenuto del Regolamento è un po’ più sfumato non è pensabile che il Titolare abbia il diritto di effettuare un audit, come e quando vuole, presso la sede del Responsabile. Premesso che tale attività ha senso solo per trattamenti particolarmente critici e per fornitori che non si dimostrino pienamente attendibile nelle loro risposte ad un eventuale questionario, le modalità di svolgimento di tali audit andrebbero regolamentate contrattualmente.

Impegno alla riservatezza del personale del Responsabile

Tutto il personale del Responsabile del trattamento deve aver sottoscritto un impegno alla riservatezza, probabilmente inserito nella designazione a soggetto autorizzato al trattamento dei dati personali. Questa è un’evidenza che il Titolare potrebbe chiedere al responsabile.

Altre  evidenze potrebbe giustamente richiedere il Titolare al Responsabile, come il Registro dei Trattamenti del responsabile (dopo la tipula dell’accordo), solamente, però, per le informazioni riguardanti il trattamento dei dati personali svolto per conto del medesimo Titolare.

In conclusione, i contratti standard fra Titolare e Responsabile mal si applicano a tutte le realtà ed andrebbero personalizzati altrimenti i rischi sono due:

  1. Che il responsabile si rifiuti di sottoscrivere l’accordo
  2. Che il responsabile non consideri tutte le clausole contrattuali e le firmi senza neanche leggerle.

Nella gestione di tutto il processo di esternalizzazione di un’attività che comprende il trattamento di dati personali sarebbe opportuno seguire quanto indicato dalla norma ISO 9001 in relazione al controllo dei processi affidati all’esterno: a partire dalla valutazione iniziale e qualifica dei fornitori, pass